Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Название Il Cielo Di Nadira
Автор произведения Mongiovì Giovanni
Жанр Исторические любовные романы
Серия
Издательство Исторические любовные романы
Год выпуска 0
isbn 9788893985512



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delle sue mogli e che non l’avrebbe trattata al pari di una concubina per via della sua provenienza popolare. Inoltre promise doni e benefici per l’intera famiglia. Umar in quel momento guardò Rashid, suo figlio maggiore di soli otto anni, e non poté fare a meno di pensare a come sarebbe cambiata in meglio la loro vita grazie agli occhi azzurri di sua sorella.

      Intanto Nadira era corsa a rifugiarsi nel luogo in cui andava da bambina, sotto la fronda di un grosso gelso sito nella proprietà della casa. Non comprendeva perché proprio a lei dovesse capitare qualcosa di così importante. Non si sentiva all’altezza, in quanto credeva di non aver fatto nulla per meritarsi le attenzioni del Qā’id ed una proposta di tale portata. Piangeva e tremava... quindi poggiò la schiena contro il tronco e, ad occhi chiusi, ricordò la causa degli avvenimenti del giorno odierno.

      Capitolo 3

      Estate 1060 (452 dall’egira) Rabaḍ di Qasr Yanna

      Era un venerdì e sotto il sole di mezzogiorno Nadira si recava al pozzo a sud del Rabaḍ con l’intenzione di attingere un secchio d’acqua; Fatima, la nipotina, l’accompagnava. Questa, vestita di rosso, portava un girocollo decorato a fantasie geometriche variopinte e tanti ornamenti pendenti sulla fronte e attaccati al copricapo, così come i berberi usano agghindare le fanciullette. Vi erano anche altre donne che andavano al pozzo, e si rideva e scherzava spensieratamente nonostante l’afa dell’ora più calda.

      Al termine del proprio servizio, le altre afferrarono tutte il loro secchio e intrapresero il tragitto verso casa. Rimasero indietro solo Nadira e Fatima.

      «Ho sentito dire che questo pozzo sia miracoloso.» esordì una voce maschile.

      Nadira, colta di soprassalto, mollò la presa della fune, lasciando cadere il secchio nel fondo del pozzo.

      Quel tizio, un giovane che portava una strana kefiah26 gialla arrotolata sulla testa, venne avanti agitando le mani e scongiurandola di perdonarlo per averle fatto prendere quello spavento.

      «Non ti avevo visto, buonuomo.» rispose Nadira, coprendosi il viso e tirando a sé la piccola Fatima.

      «Dicevo che questo pozzo è miracoloso… ed ora che ti sono più vicino me ne convinco ancor di più.»

      E sorridendo continuò:

      «Perché se non sei un angelo, spiegamelo tu quale creatura del Paradiso ho davanti.»

      «Solo la sorella del capo del villaggio, un uomo molto vicino al Qā’id.» spiegò le sue referenze Nadira, nel tentativo di dissuaderlo da eventuali cattive intenzioni.

      «Non devi temere nulla da me.»

      Perciò, accennando un inchino con le mani raccolte dietro la schiena, si presentò:

      «Mus’ab, poeta e medico.»

      «Lascia che parli con mio fratello e ti farò dare l’ospitalità che meriti, Mus’ab.»

      «Sei gentile, ma tutto ciò di cui ho bisogno credo di averlo già trovato.»

      «Hai bisogno d’acqua? Mio fratello non dissentirà dall’accordartene un secchio.» chiese innocentemente Nadira, immaginando che si riferisse al pozzo.

      Tuttavia quell’altro sorrise e spiegò:

      «Ho viaggiato molto nonostante la mia giovane età: da Bagdad a Grenada. Devo dire di aver visto molte volte occhi turchesi e occhi smeraldo, degni delle settantadue vergini promesse da Allah ai martiri. In Andalus ho trovato fanciulle di stirpe visigota con degli occhi simili ai tuoi… e tra i monti della Cabilia mi imbattei in donne con caratteristiche quasi identiche. Tuttavia, mai… mai… ho trovato un azzurro così intenso incastonato in un viso come il tuo. Il tuo aspetto tradisce la stirpe alla quale appartieni, per certo berbera, come evinco dalle vesti della bambina... E anche tra gli indigeni siciliani ho visto qualcuno che vanti occhi chiari, ma mai come i tuoi. Forse tuo padre è un indigeno? O forse tua madre? Da chi hai ereditato questa fortuna?»

      «Ti sbagli… per certo sei stato troppo tempo lontano da questa terra e cadi facilmente in inganno. Non esistono berberi, indigeni o arabi da queste parti, ma soltanto siciliani osservanti la parola del Profeta. È vero, tra i miei nonni e tra le loro madri vi furono delle donne indigene convertite ai dettami del Corano, come accadde in qualsiasi altra famiglia di credenti su quest’isola. Ma ciò è normale se si considera che a passare in Sicilia nei primi tempi furono per la stragrande maggioranza uomini, e solo successivamente vi passarono le famiglie che sfuggivano alle persecuzioni dei califfi e degli emiri d’Ifrīqiya. Ciò nondimeno, per quanto riguarda i miei occhi, perché mai qualcuno dovrebbe indagare su un imperscrutabile dono di Allah?»

      In quel momento il muezzin27 richiamò i fedeli alla preghiera del mezzogiorno. Nadira si voltò verso il Rabaḍ e il suo minareto, quindi si affrettò per rientrare.

      «Mia madre aspetta quest’acqua già da troppo tempo.»

      «Dimmi solo il tuo nome.»

      «Nadira.»

      «Nadira, scriverò dei tuoi occhi!» esclamò il forestiero.

      Già di rientro verso casa, tirando per la mano Fatima, Nadira maturò la certezza che Mus’ab si sarebbe presentato al cospetto di Umar per chiedere la sua mano. Tuttavia i giorni passarono e la certezza scomparve, finché i primi di ottobre fu chiaro l’effetto ben più importante che quell’incontro aveva provocato nello sviluppo del suo destino.

      Capitolo 4

      Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna

      Il viso di Corrado s’illuminava del rosso del tramonto, uniformandosi alle tinte molto vicine dei suoi capelli. Nadira era rientrata in casa già da ore, rifiutando l’aiuto che lui le aveva chiesto; da quel momento non si era fatto vivo più nessuno.

      Poi, proprio al tramonto, Corrado prese ad urlare delirante:

      «Umar, esci fuori! Esci fuori e veditela con me!»

      Ma una voce alle sue spalle, proveniente dall’ingresso del cortile, lo supplicò:

      «Ti prego, smettila!»

      E lui:

      «Nadira, vigliacca… è questa la tua pietà?»

      Quella voce alle sue spalle allora si identificò avvicinandosi al palo. Pure un uomo dell’esattore preposto alla guardia si avvicinò, ma questi lo fece minaccioso e intento a fargli pagare l’insulto nei confronti della sua padrona.

      «No, ti prego! È febbricitante… non sa quello che dice. Addirittura crede che io sia la promessa del Qā’id.»

      Nonostante le implorazioni di Apollonia, la guardia minacciò:

      «Un’altra parola e gli stacco la testa!»

      Apollonia piangeva, mentre a pochi passi lo fissava preoccupata.

      «Sono tua sorella. Guardami, Corrado, guardami!»

      Ma lui ruotava la testa convulsamente e continuava a mugugnare un suono indefinito.

      Apollonia dunque gli si gettò addosso in un abbraccio compassionevole. Corrado era l’uomo più alto del Rabaḍ e lei una delle ragazze più minute, perciò la testa della sorella si perdeva nel suo petto, lasciato scoperto dalla tunica strappata e dalla coperta sulle spalle.

      «Coraggio… coraggio… non durerà tanto.»

      «Sorella…» rispose lui a bassissima voce.

      «Finalmente mi riconosci!»

      «Da quanto tempo sei qui?»

      «Da sempre… da sempre, fratello mio. Sarei rimasta anche dopo averti portato questa coperta la notte scorsa, ma nostra madre mi ha costretto