Название | La caccia di Zero |
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Автор произведения | Джек Марс |
Жанр | Шпионские детективы |
Серия | |
Издательство | Шпионские детективы |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781094312750 |
“Devo usare il bagno.”
“Non m’importa,” rispose Rais.
Maya si accigliò. Una volta era riuscita a sfuggire a un membro di Amun su un pontile nel New Jersey fingendo di dover andare in bagno—non aveva creduto neanche per istante che si fosse trattato di membri di una gang come le aveva raccontato il padre—e in quel modo era riuscita a mettere Sara al sicuro. In quel momento era l’unica cosa a cui riusciva a pensare che concedesse loro un minuto da sole, ma la sua richiesta era stata respinta.
Viaggiarono per diversi minuti in silenzio, diretti a sud sull’autostrada. Maya accarezzava i capelli della sorella minore. La ragazzina sembrava essersi calmata e non piangeva più, ma forse aveva solo finito le lacrime.
Rais mise la freccia e curvò verso l’uscita. Lei sbirciò fuori dai finestrini e provò una piccola scintilla di speranza: si stavano per fermare in una stazione di sosta. Era minuscola, poco più di un’area da picnic circondata da alberi e un piccolo edificio basso con dei bagni, ma almeno era qualcosa.
Gli avrebbe permesso di usare il bagno.
Gli alberi, pensò lei. Se Sara riesce a nascondersi nel bosco, forse può distanziarlo.
Rais parcheggiò il pick-up e lasciò il motore acceso per un momento mentre studiava l’edificio. Maya fece lo stesso. C’erano altre due macchine, due case mobili parcheggiate in parallelo rispetto al palazzetto, ma non si vedeva anima viva. Davanti ai bagni e sotto una tettoia c’erano un paio di distributori automatici. Con sgomento notò anche che non c’erano telecamere, o almeno nessuna visibile, nei dintorni.
“Il bagno delle donne è sulla destra,” disse l’assassino. “Ti accompagno. Se provi a gridare o chiamare qualcuno, li ammazzerò. Se fai anche il più piccolo gesto o segnale a chiunque per comunicare che c’è qualcosa che non va, li ammazzerò. Il loro sangue sarà sulle tue mani.”
Sara aveva ripreso a tremare tra le sue braccia. Maya le strinse le spalle.
“Voi due vi terrete per mano. Se vi separate, farò del male a Sara.” Si girò per guardarle, fissando Maya in particolare. Aveva già indovinato che tra le due, era più probabile che lei gli desse dei problemi. “Mi avete capito?”
Maya annuì, distogliendo lo sguardo dai suoi selvaggi occhi verdi. Erano cerchiati di nero, come se non dormisse da diverso tempo, e i suoi capelli scuri erano tagliati corti in cima alla testa. Non sembrava tanto vecchio, di certo era più giovane di loro padre, ma non riusciva a capire quanti anni avesse.
Teneva in mano una pistola nera, la Glock che era stata in casa loro. Maya aveva cercato di usarla su di lui dopo che aveva fatto irruzione, e l’uomo gliel’aveva presa. “Questa sarà in mano mia, e io la terrò in tasca. Ti ricordo di nuovo che se causi problemi a me, li causi a tua sorella.” Indicò Sara con il capo. La ragazzina piagnucolò piano.
Rais uscì per primo dal pick-up, infilandosi la mano e l’arma nella tasca della giacca nera. Poi aprì la porta posteriore del veicolo. Maya emerse con gambe tremanti e appoggiò i piedi sul cemento. Tese una mano verso Sara e l’aiutò a uscire.
“Andate.” Le ragazze camminarono davanti a lui dirette verso il bagno. Sara rabbrividì; era la fine di marzo in Virginia e quindi la temperatura stava iniziando ad alzarsi, ma era ancora sui dieci o quindici gradi, ed entrambe erano in pigiama. Maya aveva un paio di infradito ai piedi, pantaloni di flanella a righe e una canottiera nera. Sua sorella portava scarpe da ginnastica ma niente calzini, pantaloni del pigiama in popeline decorati con disegni di ananas, e una delle magliette del padre, che era praticamente uno straccio tinto a nodi con il logo di una band che nessuna delle due aveva mai sentito.
Maya girò la maniglia ed entrò in bagno per prima. Istintivamente arricciò il naso per il disgusto; il posto puzzava di urina e muffa, e il pavimento era bagnato per via di un tubo del lavello che perdeva. Attirò comunque Sara dentro la toilette.
Nella stanza c’era una sola finestra, un vetro smerigliato in alto sul muro che sembrava si sarebbe spalancato con una sola spintarella. Se fosse riuscita a sollevare la sorella fino a lì e a farla uscire, avrebbe potuto distrarre Rais fino a che Sara…
“Datevi una mossa.” Sussultò quando l’assassino entrò nel bagno dietro di loro. Il cuore le sprofondò sotto i piedi. Non le avrebbe lasciate da sole neanche per un minuto. “Tu vai là.” Indicò il secondo dei tre camerini a Maya. “Tu, là.” Indicò il terzo a Sara.
Lei lasciò la mano della sorella ed entrò nel cubicolo. Era lurido; non lo avrebbe voluto usare nemmeno se avesse dovuto urinare per davvero, ma almeno doveva fingere. Fece per chiudere la porta ma Rais glielo impedì con il palmo della mano.
“No,” le disse. “Lasciala aperta.” E poi le diede la schiena, voltandosi verso l’uscita.
Non vuole correre nessun rischio. Si sedette lentamente sul coperchio chiuso del gabinetto e si soffiò sulle mani. Non poteva fare niente. Non aveva armi contro di lui. L’assassino aveva un coltello e due pistole, una delle quali era attualmente stretta nella sua mano, nascosta in una tasca della giacca. Avrebbe potuto tentare di aggredirlo per far scappare Sara, ma stava bloccando la porta. Oltretutto aveva già ucciso il signor Thompson, un ex Marine grande e grosso contro cui la maggior parte delle persone non avrebbe osato alzare un dito. Quante chance avrebbe avuto lei?
Sara singhiozzò nel cubicolo accanto al suo. Non è il momento giusto per agire, lo capiva. Ci aveva sperato, ma avrebbe dovuto aspettare.
All’improvviso sentì un cigolio rumoroso. Qualcuno aveva aperto la porta del bagno e una voce femminile sorpresa esclamò: “Oh! Chiedo scusa… Sono nel bagno sbagliato?”
Rais si fece da parte, allontanandosi dal suo cubicolo e dal capo visivo di Maya. “Chiedo scusa, signora. No, è nel posto giusto.” La sua voce assunse subito un affettato tono di cortesia. “Le mie due figlie sono qui dentro e… beh, forse sono un po’ troppo protettivo, ma non si è mai troppo cauti di questi tempi.”
A quella menzogna il petto di Maya si gonfiò di rabbia. L’idea che l’uomo che le aveva strappate dal padre osasse fingersi lui le colorò il volto per l’ira.
“Oh, capisco. Tanto devo solo usare il lavello,” disse la donna.
“Ma certo.”
La ragazza sentì le scarpe ticchettare sulle piastrelle, e poi la sconosciuta apparve davanti alla sua porta. Le dava le spalle mentre girava la manopola difettosa. Sembrava una donna di mezza età, con capelli biondi lunghi fino alle spalle e abiti eleganti.
“Non posso dire di biasimarla,” stava dicendo a Rais. “Normalmente non mi fermerei mai in un posto del genere, ma mi sono versata addosso il caffè lungo la strada e, uhm…” Si interruppe quando guardò allo specchio.
Nel riflesso aveva visto la porta del cubicolo aperta e Maya seduta sopra il gabinetto chiuso. La ragazza non aveva idea di che aspetto avesse—con i capelli spettinati, le guance gonfie di pianto e gli occhi arrossati—ma poteva immaginare di essere motivo d’allarme.
Lo sguardo della sconosciuta si spostò da Rais all’immagine nel vetro. “Uhm… non potevo viaggiare per un’altra ora e mezza con le mani appiccicose…” Si lanciò uno sguardo alle spalle, senza spegnere l’acqua, e mimò silenziosamente due parole a Maya.
Stai bene?
A lei tremarono le labbra. La prego non mi parli. Non mi guardi nemmeno. Scosse piano la testa. No.
Rais doveva essersi girato di nuovo verso la porta, perché la donna rispose con un movimento del capo. No! pensò disperatamente Maya. Non aveva cercato il suo aiuto.
Voleva solo evitare che facesse la stessa fine di Thompson.
Fece un cenno verso di lei e le disse in silenzio una parola. Vada. Vada.
La