La Casa Perfetta. Блейк Пирс

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Название La Casa Perfetta
Автор произведения Блейк Пирс
Жанр Зарубежные детективы
Серия
Издательство Зарубежные детективы
Год выпуска 0
isbn 9781094311012



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signorina Jessie? Mi piaci parecchio, ma questo mi sembrerebbe un vantaggio irragionevole. Dobbiamo concedere una possibilità a quest’uomo.”

      “Una possibilità?” ripeté Jessie incredula. “Di fare cosa? Di squartarmi come ha fatto con mia madre?”

      “Non mi pare per niente corretto,” rispose Crutchfield, apparentemente sempre più calmo, man mano che Jessie si agitava. “Avrebbe potuto farlo al tempo in quel capanno in mezzo alla neve tanti anni fa. Ma non l’ha fatto. Allora perché dare per scontato che voglia farti del male ora? Magari vuole solo portare la sua signorinella a Disneyland per una gita.”

      “Mi vorrà perdonare se non sono incline a dargli il beneficio del dubbio,” rispose lei con tono secco. “Questo non è un gioco, Bolton. Vuoi che venga a trovarti ancora? Devo essere viva per poterlo fare. La tua migliore amica non sarà molto loquace se il tuo mentore la fa a pezzi.”

      “Due cose, signorina Jessie: prima di tutto capisco quanto questa notizia sia sconvolgente, ma preferirei che non assumessi questo tono familiare con me. Chiamarmi per nome? Non solo manca di professionalità, ma non è da te.”

      Jessie rimase in silenzio ribollendo per la rabbia. Ancora prima che le dicesse la seconda cosa, già sapeva che le avrebbe detto ciò che lei voleva. Eppure rimase in silenzio, mordendosi letteralmente la lingua nella speranza ardente che non cambiasse idea.

      “E secondo,” aggiunse, ovviamente soddisfatto di vederla così agitata, “anche se godo della tua compagnia, non avere la presunzione di pensare di essere la mia migliore amica. Non dimenticare la tua onnipresente e sempre vigile agente Gentry dietro di te. Lei è davvero un fiorellino: un fiorellino secco e appassito. Come le ho detto in più di un’occasione, quando uscirò da questo posto, intendo darle un saluto speciale, se capisci cosa intendo. Quindi non tentare di scavalcarla per metterti in testa.”

      “Io…” iniziò a dire Jessie, sperando di cambiare idea.

      “Tempo scaduto, mi spiace,” disse lui interrompendola. E detto questo si voltò, dirigendosi verso la piccola nicchia in cui si trovava il gabinetto, chiudendosi alle spalle il divisorio in plastica e mettendo così fine alla conversazione.

      CAPITOLO SETTE

      Jessie stava allerta, in guardia per notare qualsiasi cosa o persona che fosse fuori dall’ordinario.

      Mentre svoltava verso casa sua, seguendo il solito percorso intricato di prima quello stesso giorno, tutte le precauzioni di sicurezza di cui era stata così fiera solo poche ore prima, adesso le apparivano miseramente inadeguate.

      Questa volta si era raccolta i capelli in una crocchia sulla nuca e li aveva nascosti sotto a un berrettino da baseball e al cappuccio della felpa che aveva comprato tornando da Norwalk. Si era appesa davanti al petto la piccola borsa a forma di zainetto. Nonostante quelle misure extra di anonimità, non indossò gli occhiali da sole, preoccupata che potessero limitare la sua visuale.

      Kat aveva promesso di visionare tutti i nastri relativi alle recenti visite di Crutchfield per vedere se qualcosa fosse sfuggito ai controlli. Aveva anche detto che se Jessie avesse potuto aspettare fino alla fine del turno, sarebbe andata fino al centro di Los Angeles, anche se lei abitava nella più distante città di Industry, per darle una mano e assicurarsi che tornasse sana e salva. Jessie aveva educatamente declinato l’offerta.

      “Non posso contare su una scorta armata ovunque vada da ora in poi,” aveva insistito.

      “Perché no?” le aveva chiesto Kat con tono parzialmente scherzoso.

      Ora, mentre percorreva il corridoio fino al suo appartamento, si chiedeva se avrebbe dovuto accettare l’offerta dell’amica. Si sentiva particolarmente vulnerabile con la borsa della spesa sottobraccio. L’atrio era avvolto in un silenzio di tomba e Jessie non aveva visto assolutamente nessuno da quando era entrata nell’edificio. Prima che potesse levarsi quel pensiero dalla testa, un’idea folle le si accese in mente: che suo padre avesse ucciso tutti in modo da non dover gestire complicazioni quando l’avesse finalmente incontrata?

      La luce dello spioncino era verde, cosa che le consentì una certa sicurezza quando aprì la porta, guardando entrambi i lati del corridoio per assicurarsi che non ci fosse nessuno in procinto di saltarle addosso. Non successe nulla. Una volta all’interno, accese le luci e poi chiuse tutte le serrature prima di disconnettere entrambi gli allarmi. Subito dopo riattivò la modalità ‘in casa’ per potersi muovere per l’appartamento senza far scattare i sensori di movimento.

      Posò la borsa della spesa sul bancone della cucina e perlustrò la casa, il manganello pronto in mano. Aveva fatto domanda di un porto d’armi da fuoco prima di partire per Quantico e quando fosse andata al lavoro il giorno dopo avrebbe potuto prendere la sua pistola. In parte avrebbe voluto averla già presa quando si era fermata a prendere la posta poco prima quello stesso giorno. Quando fu finalmente sicura che l’appartamento fosse privo di pericoli, iniziò a mettere via la spesa, lasciando fuori il sashimi che aveva preso per cena invece della pizza.

      Non c’è niente di meglio che un sushi del supermercato di lunedì per rendere particolarmente felice una ragazza single nella grande città.

      Il pensiero la fece sorridere brevemente, prima che le tornasse in mente il pensiero che il suo padre serial killer aveva ottenuto degli indizi per trovare il suo luogo di residenza. Forse non era proprio una mappa, ma da quello che Crutchfield aveva detto, poteva essergli sufficiente per riuscire a trovarla alla fine. La grossa domanda era: quando sarebbe stato questo ‘alla fine’?

      *

      Novanta minuti dopo Jessie stava prendendo a pugni un grosso sacco pesante, madida di sudore che le ricopriva tutto il corpo. Dopo aver finito il sushi si sentiva irrequieta e fremente e aveva deciso di allenarsi per eliminare le sue frustrazioni in modo costruttivo in palestra.

      Non era mai stata una grossa appassionata di allenamento. Ma nel tempo trascorso all’Accademia Nazionale, aveva fatto una scoperta inaspettata. Quando si allenava fino ad essere esausta, non restava spazio per le ansie e le paure che la consumavano così tanto nel resto del tempo. Se solo lo avesse saputo una decina d’anni prima, si sarebbe risparmiata migliaia di notti insonni, o infiniti incubi.

      Questo le avrebbe anche risparmiato probabilmente alcuni viaggi dalla sua terapeuta, la dottoressa Janice Lemmon, una rinomata psicologa forense. La dottoressa Lemmon era una delle poche persone a conoscere i dettagli del passato di Jessie. Era stata una risorsa di estremo valore negli anni più recenti.

      Attualmente però si trovava in fase di ripresa dopo un trapianto di fegato e per qualche settimana ancora non sarebbe stata disponibile per una seduta. Anche se la terapia dell’allenamento poteva essere più economica, Jessie sapeva che ci sarebbero di certo stati momenti in cui avrebbe avuto bisogno di vedere la dottoressa in futuro.

      Mentre proseguiva con una nuova serie di pugni, ricordò come, prima del viaggio a Quantico, si fosse spesso svegliata sudando freddo e respirando affannosamente, cercando di ricordare a se stessa che si trovava al sicuro a Los Angeles e non in un piccolo capanno nell’Ozarks del Missouri, legata a una sedia con gli occhi fissi sul sangue che gocciolava dal cadavere in lento congelamento di sua madre.

      Se solo fosse stato solo un sogno. Ma era reale. Quando aveva sei anni e il matrimonio dei suoi genitori aveva iniziato ad avere delle difficoltà, suo padre aveva portato lei e sua madre in un capanno isolato. In quella circostanza aveva rivelato loro che rapiva, torturava e uccideva la gente, e che lo faceva da anni. Poi aveva riservato lo stesso trattamento alla sua stessa moglie, Carrie Thurman.

      Dopo averle ammanettato i polsi alle travi del soffitto per pugnalarla a intervalli regolari con un coltello, aveva costretto Jessie – allora Jessica Thurman – a guardare. Le aveva legato le braccia a una sedia e le aveva messo del nastro adesivo sugli occhi perché stessero aperti, fino a che aveva definitivamente ucciso sua madre.

      Poi aveva usato lo stesso coltello per fare un grosso taglio sulla pelle della sua stessa figlia, dalla spalla sinistra alla base del collo. Dopodiché se n’era semplicemente