Название | Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3 |
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Автор произведения | Джек Марс |
Жанр | Триллеры |
Серия | |
Издательство | Триллеры |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781094305660 |
In quell’istante avrebbe potuto uccidere una persona, o magari diverse. E le isole Cayman erano lontane, ben fuori dalla sua portata. Stone e Newsam si erano appena gettati nella versione acquatica della Spedizione Donner, una missione suicida che poteva solo finire in tragedia. E là fuori c’erano un mucchio di terroristi che avevano già ammazzato civili innocenti. Gli uomini che avevano preso in ostaggio l’intera piattaforma petrolifera erano dei cattivi e a nessuno sarebbe importato molto se fossero morti.
Cominciò a riflettere rapidamente. Swann e Trudy erano stati banditi in un ufficio ma quello non era per forza un risvolto negativo. Entrambi erano maghi della tecnologia. Se non gli avevano tagliato le comunicazioni… un grosso se, ma…
“Murph? Che cosa vuoi fare?”
I suoi occhi erano raggi laser. Poteva lanciare sfere di fuoco dalle mani. Era inarrestabile, e lo era sempre stato. Tutti quegli anni in combattimento, senza essere mai ferito. Succedevano cose incredibili al mondo.
“Mi serve una barca,” annunciò, senza pensare a cosa stava dicendo. “Mi servono delle armi, il supporto di droni e le indicazioni per attraversare la tempesta fino all’impianto.”
Si interruppe. La sua mente ormai galoppava, ragionava in pure immagini e lui riusciva a malapena ad articolare le parole.
“Voglio scendere in campo.”
* * *
Luke si gettò nell’apertura buia.
Attraversò un sottilissimo strato di ghiaccio per ritrovarsi in un surreale mondo subacqueo. In un istante l’ambiente spartano della cupola, simile a uno spogliatoio, svanì, sostituito da…
Un mare blu scuro, che si apriva in un vuoto nero sotto di lui. Sopra la sua testa, il ghiaccio era una fredda lastra bianco-bluastro. Luccicanti rettangoli luminosi segnalavano la presenza delle cupole dove erano state tagliati gli altri fori d’ingresso.
Era un luogo alieno.
Avrebbe potuto essere un astronauta che galleggiava senza peso nello spazio profondo.
La prima cosa che notò fu il freddo, ma non era il gelo dell’oceano quando ci si buttava in acqua nell’autunno inoltrato. Non gli penetrava nelle ossa. La muta riusciva a tenere a bada le temperature che avrebbero potuto ucciderlo in un istante.
In un certo senso non aveva freddo, ma riusciva a percepirlo tutto intorno a sé, all’esterno del grosso strato di neoprene. Se avesse oltrepassato la muta sarebbe morto. Era semplice.
L’unico suono che udiva era il suo stesso respiro, fragoroso nelle orecchie. Era rapido e poco profondo, e si concentrò per rallentarlo a approfondirlo. Gli ansimi superficiali erano uno dei primi sintomi del panico. Il panico faceva perdere la testa. In un luogo come quello, poteva far perdere la vita.
Rilassati.
Luke attivò il dispositivo cilindrico motorizzato e si lasciò trascinare con delicatezza.
Davanti a lui, il gruppo di sommozzatori avanzava. Il buio era illuminato dalle loro torce, che lanciavano ombre inquietanti. Luke quasi si aspettava che un gigantesco squalo, un megalodonte preistorico emergesse dall’oscurità attorno a loro.
Man mano che si allontanavano dal campo, si accorse che il mare si muoveva turbolento, e il grosso soffitto di ghiaccio sopra le loro teste ondeggiava e si increspava come la terraferma durante un violento terremoto. Lui ed Ed nuotavano fianco a fianco, viaggiando tra le forti correnti grazie ai dispositivi motorizzati tra le loro mani.
Luke si sentiva assediato. L’acqua stava facendo di tutto per ribaltarlo e spedirlo verso Ed, ma lui assecondava i flussi e continuava ad avanzare.
Lanciò uno sguardo al collega. Ed aveva una posizione perfetta, appena reclinato in avanti, la testa sollevata. Luke non riusciva a vedere il suo viso dietro il casco. L’effetto era alienante. Ed avrebbe potuto essere un impostore o una macchina.
Attraverso la radio del casco si udiva un mormorio. Lui riusciva a malapena a percepirlo, e non distingueva le parole. Il suo respiratore era molto più rumoroso della radio. Sarebbe stato difficile comunicare.
Si guardò indietro. Le luci che penetravano l’oscurità dall’alto stavano svanendo in lontananza. Si erano già lasciati il campo base alle spalle.
Entrò in una specie di trance. Controllò l’orologio. Aveva impostato il timer per la missione appena prima di buttarsi in acqua. Erano passati appena dieci minuti dall’inizio.
Oltrepassarono il bordo della lastra di ghiaccio e l’acqua sopra di loro divenne scura, quasi nera, punteggiata da blocchi di ghiaccio in movimento. Ormai c’era solo il buio, illuminato dalle loro torce, e dalle luci davanti a loro.
Stavano per raggiungere l’obiettivo. Stava succedendo molto più in fretta di quanto si fosse aspettato.
Calma… calma.
Superò un piccolo apparecchio, che brillava verde nell’oscurità. Era una scatola metallica, a forse dieci metri alla sua destra. Se avesse dovuto tirare a indovinare, avrebbe detto che era alta un metro per cinquanta centimetri di larghezza. Su un fianco c’erano controlli di vario tipo. Era abbastanza piccolo e lontano che quasi non lo notò.
Era un robot. Luke sapeva che si trattava di un veicolo sottomarino operato da remoto, chiamato anche ROV. Era legato a una grossa fune gialla che svaniva in lontananza verso nord e che doveva essere la sua fonte principale di energia. Probabilmente conteneva anche i cavi che lo controllavano, e attraverso i quali mandava dati… ma a chi?
Era dominata da un grande occhio rotondo, probabilmente la lente della telecamera.
Che nessuno altro l’avesse vista?
Cercò di girare nella sua direzione, ma le onde lo spinsero oltre la scatola prima che potesse raggiungerla. Ed si voltò per guardarlo. Luke tentò di indicargli il ROV, ma ormai era alle loro spalle, e la muta insieme all’equipaggiamento era troppo ingombrante.
Sarebbero dovuti tornare indietro, prendere quella cosa e quanto meno ispezionarla. Nessuno aveva detto niente a proposito di telecamere controllate da remoto in quella missione. Quella cosa stava mandando le loro immagini a qualcuno.
Avrebbero dovuto tagliare la fune.
Il mormorio nel suo casco divenne più rumoroso, ma Luke continuava a non capire le parole. Una alla volta, le torce davanti a lui si spensero, lasciando il gruppo nel buio più totale.
I primi soldati avevano raggiunto le coste.
Luke si guardò alle spalle un’ultima volta. Le luci del campo erano lontane, come stelle in un cielo notturno. Se qualcuno si fosse perso, avrebbe dovuto dirigersi verso quelle.
Il robot verde galleggiava, già lontano, e lo guardava. A quella distanza, si poteva prendere per mera bioluminescenza verde.
Alzò una mano per spegnere la torcia. Alla sua sinistra, anche quella di Ed svanì.
Fu a quel punto che iniziarono le grida.
* * *
Murphy odiava tutti.
Lo capiva, era furibondo e stava lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento. Era un mondo freddo e perverso, che non meritava altro che il suo disprezzo. Disprezzo e odio. L’odio lo guidava. Lo nutriva e lo sosteneva. Lo proteggeva dai pericoli.
Non poteva uccidere il militare imbecille che lo aveva cacciato dalla riunione e l’aveva deriso con lo sguardo. Era contro le regole. Sarebbe finito in galera. Ma poteva ammazzare il nemico.
Manovrò il piccolo battello fluviale della marina attraverso la tempesta. Non era un mezzo adatto alle acque