Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс

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Название Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2
Автор произведения Джек Марс
Жанр Триллеры
Серия
Издательство Триллеры
Год выпуска 0
isbn 9781094312798



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‘Ti credi un duro, negro? Non sei un duro. Non sai nemmeno che significa essere un duro. Ma te lo farò vedere io.’”

      “Era un bianco?” gli domandò lui.

      L’altro scosse la testa. “Nah. Di quei tempi se un uomo bianco mi avesse chiamato negro lo avrei ucciso. Era un fratello, veniva da qualche parte del South Carolina. Non lo so. Comunque mi spaccò in due. E quando finì mi rimise insieme, un po’ meglio di prima. Così mi trasformò in qualcosa con cui l’esercito poteva lavorare, per fare qualcosa di buono di me.”

      Per un momento rimase in silenzio. L’aeroplano sobbalzò in mezzo a una turbolenza.

      “Non ho mai trovato la maniera per ringraziarlo.”

      Luke scrollò le spalle. “Beh, non è finita. Mandagli dei fiori. Una cartolina di auguri, non lo so.”

      Ed sorrise di nuovo, ma quella volta fu un’espressione malinconica. “È morto. Circa un anno fa. All’età di quarantatré anni. Era stato in servizio per venticinque, sarebbe potuto andare in pensione quando voleva. Invece pare che si sia offerto volontario per l’Iraq, e ce l’hanno mandato. Era in un convoglio finito in un’imboscata vicino a Mosul. Non conosco tutti i dettagli. L’ho visto su Stars and Stripes. A quanto pare era un ufficiale pluridecorato. Non lo sapevo quando era il mio sergente. Non me ne aveva mai parlato.”

      Si interruppe. “E non gli ho mai detto che cosa significasse per me.”

      “Probabilmente lo sapeva,” lo confortò Luke.

      “Già. Probabilmente sì. Ma avrei dovuto dirglielo lo stesso.”

      Lui non lo negò.

      “Dove è tua madre?” chiese invece.

      Ed scosse la testa. “Ancora a Crenshaw. Ho cercato di convincerla a trasferirsi a est insieme a me, ma non ne ha voluto sapere. Dice che tutti i suoi amici sono lì! Quindi io e mia sorella abbiamo fatto una colletta e le abbiamo comprato un piccolo bungalow a sei isolati dalla topaia dove abitavamo. Una quota del mio stipendio mensile serve a pagare il mutuo di quel posto. Proprio nel vecchio quartiere da cui volevo uscire a costo della vita stessa.”

      Fece un lungo sospiro. “Almeno c’è cibo nel frigo e le bollette sono pagate. Immagino che non importi altro. Lei dice: ‘Nessuno mi dà fastidio. Sanno che sei mio figlio. E se mi infastidiscono ci penserai tu.’”

      Luke sorrise. Ed fece lo stesso, e quella volta fu più genuino.

      “È impossibile, amico.”

      Lui dovette scoppiare a ridere. Dopo un momento Ed si unì a lui.

      “Ascolta,” disse l’altro uomo. “Mi piace il tuo piano. Credo che possiamo farcela. Con un altro paio di uomini, quelli giusti…” Annuì. “Sì. È fattibile. Devo farmi un’altra quarantina di minuti di sonno, e forse verrà qualche idea anche a me e avrò qualcosa da aggiungere.”

      “Per me sta bene,” replicò lui. “Non vedo l’ora, ma vorrei che nessuno della nostra squadra si facesse ammazzare là fuori.”

      “Specialmente non noi,” aggiunse Ed.

      CAPITOLO SETTE

      26 giugno

      6:30 a.m. Ora legale orientale

      Special Activities Division, Direttorato delle operazioni

      Central Intelligence Agency

      Langley, Virginia

      “Sembra che il presidente abbia perso il senno.”

      “Oh?” chiese l’uomo anziano mentre fumava la sua sigaretta. Sembrava che avesse la gola piena di ghiaia. I suoi denti erano giallo scuro. La recessione gengivale li faceva sembrare più lunghi. Sbattevano insieme quando parlava e l’effetto era terrificante. “Mi dica.”

      Erano nelle viscere del quartier generale. Nella maggior parte delle sale dell’edificio era vietato fumare. Ma lì nel sancta sanctorum? Tutto era concesso.

      “Sono sicuro che l’ha già saputo,” rispose l’agente speciale Wallace Speck.

      Sedeva dall’altra parte di un’ampia scrivania metallica davanti all’anziano. Sulla scrivania non c’era quasi niente. Nessun telefono, nessun computer, neanche un foglio di carta o una penna. C’era solo un posacenere in ceramica bianca, traboccante di mozziconi di sigarette.

      L’uomo anziano annuì. “Mi rinfreschi la memoria.”

      “Ieri ha suggerito che lasciassimo l’equipaggio della Nereus a marcire nelle prigioni russe. Lo ha detto di fronte a venti o trenta persone.”

      “Salti le parti poco interessanti,” ordinò il vecchio. Erano in una stanza senza finestre. Prese un tiro alla sigaretta, lo trattenne e poi espirò una piuma di fumo blu. Il soffitto era almeno quattro metri e mezzo sopra le loro teste, e il fumo volò verso l’alto.

      “Beh, ha ritirato la proposta. Ma ha tagliato noi e i nostri fuori dalla missione di salvataggio, per lasciarla nelle mani del nostro nuovo fratellino dell’FBI.”

      “Salti,” ordinò l’anziano.

      Wallace Speck scosse la testa. Quell’uomo era in condizioni disastrose. Come faceva a essere ancora vivo? Fumava una sigaretta dopo l’altra sin da prima che lui nascesse. Il suo volto pareva un vecchio foglio di giornale, ingiallito quasi quanto i denti. Le sue rughe avevano le rughe. Il suo corpo era privo di qualsiasi tono muscolare. La carne sembrava pendergli dalle ossa.

      Quel pensiero lo fece ripensare a una volta in cui aveva mangiato in un ristorante elegante. “Come è il pollo stasera?” aveva chiesto al cameriere. “Magnifico,” aveva detto quello. “La carne si stacca subito dall’osso.”

      La carne del vecchio era tutt’altro che magnifica. Ma i suoi occhi erano ancora taglienti come rasoi, concentrati come laser. Erano tutto quello che gli rimaneva.

      Quegli occhi lo fissavano. Volevano ogni dettaglio scabroso. Volevano le parti che preoccupavano le persone come Wallace Speck. Lui era l’uomo che sapeva trovare i dettagli scabrosi, e faceva bene il suo lavoro. Era molto bravo. Ma a volte si chiedeva se la Special Activities Division della CIA non stesse superando i limiti del suo mandato. A volte si chiedeva se quelle attività speciali non fossero un tradimento.

      “Ha difficoltà a dormire,” continuò. “Sembra che non abbia superato lo shock del rapimento della figlia. Usa l’Ambien per dormire, e spesso manda giù le sue pillole con un bicchiere di vino o due. È un’abitudine pericolosa, per ovvie ragioni.”

      Speck si interruppe. Avrebbe potuto dargli la documentazione cartacea, ma l’uomo anziano non voleva leggerla. Voleva solo ascoltare. Lo sapeva. “Abbiamo registrazioni e trascrizioni di una decina di telefonate che ha fatto verso il ranch della famiglia in Texas negli ultimi dieci giorni. Sono conversazioni con la moglie. In ogni chiamata esprime il desiderio di lasciare la presidenza, tornare al ranch, e passare del tempo con la famiglia. Durante tre di quelle telefonate è scoppiato a piangere.”

      L’anziano sorrise e ispirò un’altra lunga boccata di fumo. I suoi occhi si strinsero e tirò fuori la lingua. Sulla punta c’era un pezzo di tabacco. Sembrava una lucertola. “Bene. Altro.”

      “Ha una specie di ossessione, un vero culto dell’eroe, per Don Morris, il nostro piccolo rivale del Gruppo d’Intervento Speciale dell’FBI.”

      L’uomo agitò in cerchio la mano.

      “Altro.”

      Speck scrollò le spalle. “Come sa il presidente ha un cagnolino. Ha cominciato a portarlo fuori a tarda notte nei terreni della Casa Bianca. Si infuria se incontra un agente dei Servizi Segreti mentre è in giro. Qualche sera fa ne ha incontrati due in dieci minuti, e ha fatto una scenata. Ha chiamato l’ufficio di supervisione notturna e gli ha ordinato di ritirare gli uomini. Non sembra più rendersi conto che sono