Название | Eroina, Traditrice, Figlia |
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Автор произведения | Морган Райс |
Жанр | Героическая фантастика |
Серия | Di Corone e di Gloria |
Издательство | Героическая фантастика |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781640290976 |
Stefania si guardò attorno scrutando il gruppo che stava con lei, giudicando chi sarebbe stato utile, chi aveva segreti da potersi utilizzare, quali debolezze rendevano possibile un loro utilizzo e controllo e quali invece erano pericolosi. Mandò il nobile che era stato così propenso ad evitare il combattimento a controllare in cancelli, e una benestante vedova litigiosa nelle cucine, dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno.
Raccoglievano gente man mano che passavano. Guardie e servitori si univano a loro sentendo le sue parole e cambiando le proprie idee di lealtà rapidamente come il vento. Le damigelle di Stefania si inginocchiarono davanti a lei, poi si alzarono a un suo gesto per essere indirizzate al compito successivo.
Di tanto in tanto trovavano dei ribelli che non volevano sottomettersi, e quelli morivano. Alcuni morivano in un rapido attacco di nobili, le loro armi spezzate, i corpi devastati dopo essere stati picchiati a morte. Altri morivano con una pugnalata alle spalle, o con una freccia avvelenata conficcata nelle carni. Le damigelle di Stefania avevano imparato per bene i loro compiti.
Quando vide la regina Atena, Stefania si trovò a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare.
“Che succede?” chiese la regina. “Che sta succedendo qui?”
Stefania ignorò il suo blaterare.
“Tia, ho bisogno che vai a vedere come vanno le cose all’armeria. Ci servono quelle armi. Immagino che ormai l’Alto Deputato Scarel avrà trovato una battaglia.”
Continuò a camminare in direzione della sala grande.
“Stefania,” disse la regina Atena. “Chiedo di sapere cosa sta succedendo.”
Stefania scrollò le spalle. “Ho fatto quello che avrebbe dovuto fare lei. Ho liberato questa gente leale.”
Era una questione così semplice, così evidente, che non c’era bisogno di aggiungere altro. Era stata Stefania a fare il lavoro di salvare quei nobili. Era a lei che dovevano la loro libertà, e forse le loro vite.
“Anche io ero imprigionata,” disse seccamente la regina.
“Ah, certo. Se l’avessi saputo vi avrei salvata insieme agli altri nobili. Ora vogliate scusarmi. Ho un castello da conquistare.”
Stefania andò avanti frettolosamente perché il miglior modo di averla vinta su una discussione era di non dare all’avversario la possibilità di controbattere. Non fu sorpresa quando gli altri presenti continuarono a seguirla.
Nelle vicinanze Stefania udì i rumori di un combattimento. Facendo un cenno a quelli che erano con lei, si diresse verso la rampa di scale alla ricerca di un balcone. Trovò rapidamente quello che cercava. Stefania conosceva la pianta del castello meglio di chiunque altro.
Di sotto vide un combattimento che probabilmente avrebbe impressionato la maggior parte della gente. Una dozzina di uomini muscolosi, nessuno con armi o armature simili, stavano combattendo nel cortile davanti al cancello principale. Lo facevano contro almeno il doppio delle guardie, forse il triplo prima che la lotta avesse inizio, tutti guidati dall’Alto Deputato Scarel. Per di più sembrava che stessero vincendo. Stefania poté vedere i corpi sparpagliati sui ciottoli con indosso le loro armature imperiali. Il nobile che amava scegliere la battaglia, ne aveva scelta una per tutti i tempi dei tempi a quanto pareva.
“Stupido,” disse Stefania.
Stefania rimase a guardare per un momento, e se avesse visto di più nell’arena, avrebbe forse potuto scorgere una qualche selvaggia bellezza in quel combattimento. Mentre assisteva, un uomo con una grossa ascia sbatté l’impugnatura della stessa contro due uomini, poi si girò e ne colpì uno con la lama tanto forte da tagliarlo quasi a metà. Un combattente che lottava con una catena balzò sul soldato e gli avvolse l’arma attorno al collo.
Era un’esibizione coraggiosa e impressionante. Forse se ci avesse pensato, avrebbe potuto comprare una decina di combattenti in passato e trasformarli in giuste e leali guardie del corpo. L’unica difficoltà sarebbe stata la mancanza di delicatezza. Stefania rabbrividì mentre uno schizzo di sangue arrivò quasi al bordo del balcone.
“Non sono magnifici?” chiese una delle nobildonne.
Stefania la guardò con tutto il disprezzo che riuscì a mostrare. “Io penso che siano dei cretini.” Schiccò le dita verso Elethe. “Elethe, pugnali e archi. Adesso.”
La damigella annuì e Stefania guardò mentre lei e alcune delle altre sguainavano armi da lancio e frecce. Alcune delle guardie con loro avevano archi corti presi dall’armeria. Uno aveva una balestra da nave, più facile da far funzionare se appoggiata a un ponte che a un balcone. Esitarono.
“La nostra gente è là sotto,” disse uno dei nobili.
Stefania gli strappò l’arco di mano. “E morirebbero comunque, lottando così miseramente contro i combattenti. Almeno in questo modo ci danno una possibilità di vincere.”
Vincere era tutto. Forse un giorno questa gente lo avrebbe capito. Forse era meglio che non lo capissero. Stefania non voleva essere costretta a ucciderli.
Per ora si accontentò di preparare l’arco meglio che poteva, con la sua pancia gonfia. Scoccando colpi verso il basso a quel modo, quasi non contava che non riuscisse a tirare indietro del tutto la corda dell’arco. Di certo non contava che non si prendesse il tempo per la mira. Con la massa di gente che lottava là sotto, di certo avrebbe comunque colpito qualcosa.
E ancora di più, era abbastanza da servire come segnale.
Le frecce piovevano verso il basso, Stefania ne vide una conficcarsi nel braccio di un combattente che ringhiò come un animale ferito prima che altre tre gli si piantassero nel petto. Anche i pugnali volavano giù tagliando e sfiorando, conficcandosi e uccidendo. I dardi avevano veleno che probabilmente non aveva tempo di agire prima che i bersagli venissero trafitti dalle frecce.
Stefania vide soldati imperiali cadere insieme ai combattenti. L’Alto Deputato Scarel guardò verso i suoi occhi accusatori mentre stringeva un colpo di balestra che lo aveva trafitto allo stomaco. Gli uomini continuavano a cadere sotto alle lame dei combattenti, o trovavano degli spazi nelle loro difese, anche se il loro momento di gloria veniva subito interrotto da una freccia.
A Stefania non importava. Solo quando l’ultimo combattente cadde lei alzò una mano perché l’assalto cessasse.
“Così tanti…” disse una delle nobildonne, ma Stefania le girò attorno.
“Non essere sciocca. Abbiamo arrestato il supporto di Ceres e abbiamo conquistato il castello. Non c’è nient’altro che conti.”
“E Ceres?” chiese una delle guardie presenti. “È morta?”
Stefania socchiuse gli occhi davanti a quella domanda, perché era una cosa di quel piano che ancora la irritava.
“Non ancora.”
Dovevano tenere il castello fino a che l’invasione non fosse finita o i ribelli non avessero in qualche modo trovato un modo di respingerla. A quel punto avrebbero potuto avere bisogno di Ceres come merce di scambio, o addirittura anche solo come dono in modo che le Cinque Pietre di Cadipolvere potessero mostrare la loro vittoria. Averla lì avrebbe forse addirittura attirato Tano, permettendo a Stefania di prendersi la sua vendetta tutta insieme.
Per ora significava che Ceres non poteva morire, ma poteva pur sempre soffrire.
E lei avrebbe fatto in modo che accadesse.
CAPITOLO CINQUE
Ceres stava fluttuando sopra a delle isole di pietra liscia e di bellezza così squisita che quasi le veniva voglia di piangere. Riconobbe il lavoro degli Antichi, e all’istante si trovò a pensare a sua madre.
Ceres allora la vide, da qualche parte davanti a lei, sempre avvolta dalla nebbia. Ceres scattò verso di lei e vide sua madre voltarsi, ma non sembrava poter riuscire a raggiungerla abbastanza rapidamente.