Ribelle, Pedina, Re . Морган Райс

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Название Ribelle, Pedina, Re
Автор произведения Морган Райс
Жанр Героическая фантастика
Серия Di Corone e di Gloria
Издательство Героическая фантастика
Год выпуска 0
isbn 9781632919847



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tono secco. “Magari se ti spingo in gola un paio di denti che hai davanti, te lo ricordi meglio.”

      Un altro uomo si stiracchiò. Lo spazio angusto sembrava a malapena sufficiente per contenerlo. “Gli unici che sento parlare siete voi. Che ne dite di stare zitti tutti e due?”

      La rapidità con cui l’uomo dalla testa rasata lo ubbidì disse molto a Sartes sulla pericolosità di quel secondo uomo. Sartes dubitava che fosse un momento in cui qualcuno avrebbe potuto farsi degli amici, ma sapeva dall’esercito che uomini come quello non avevano amici: avevano parassiti e vittime.

      Era difficile fare silenzio ora che sapeva dove stavano andando. Le fosse del catrame erano una delle punizioni peggiori che l’Impero avesse, così pericolose e spiacevoli che coloro che vi venivano spediti erano fortunati se sopravvivevano un anno. Erano posti caldissimi e letali, dove si potevano vedere ossa di draghi morti che sporgevano dal terreno, e le guardie non ci pensavano due volte prima di gettare un prigioniero malato o claudicante nel catrame.

      Sartes cercò di ricordare come aveva fatto a finire lì. Era uscito ad eseguire una missione per la ribellione, cercando di trovare un cancello che potesse permettere a Ceres di entrare nella città con gli uomini di Lord West. L’aveva trovato. Sartes poteva ricordare la gioia che aveva provato in quel momento, perché era davvero la soluzione perfetta. Era subito corso indietro per cercare di dirlo agli altri.

      Era vicinissimo quando la figura incappucciata lo aveva afferrato; tanto vicino che si era sentito quasi sul punto di potersi allungare e toccare l’ingresso del nascondiglio dei ribelli. Si era sentito come quasi al sicuro, e gli avevano strappato tutto.

      “Stefania manda i suoi saluti.”

      Quelle parole riecheggiavano nella memoria di Sartes. Erano state le ultime parole che aveva sentito prima che lo colpissero facendogli perdere conoscenza. Gli avevano detto allo stesso tempo chi stava facendo questo e che lui aveva fallito. Lo avevano fatto arrivare così vicino, e poi gli avevano portato via tutto.

      Avevano lasciato Ceres e gli altri senza le informazioni che Sartes era stato capace di trovare. Si trovava ora a preoccuparsi di sua sorella, di suo padre, di Anka e della ribellione, senza sapere cosa fosse successo loro, privi del cancello che lui era stato in grado di trovare per loro. Sarebbero stati capaci di entrare nella città senza il suo aiuto?

      Erano stati capaci di farlo, si corresse Sartes, perché a quel punto in un modo o nell’altro dovevano averlo fatto. Dovevano aver trovato un altro cancello, o un modo alternativo per accedere alla città, o no? Dovevano averlo fatto, perché qual era l’alternativa?

      Sartes non voleva pensarci, ma era impossibile farne a meno. L’alternativa era che avessero potuto fallire. Nella migliore delle ipotesi potevano essersi accorti che non c’era modo di entrare senza prendere un cancello, e magari si erano trovati intrappolati lì mentre l’esercito avanzava. Al peggio… al peggio potevano essere già morti.

      Sartes scosse la testa. Non poteva crederci. Ceres avrebbe di certo trovato un modo per superare tutto questo e vincere. Anka era più piena di risorse di chiunque altro lui avesse mai conosciuto. Suo padre era forte e solido, mentre gli altri ribelli avevano la determinazione che veniva loro dal sapere che la loro causa era giusta. Avrebbero trovato un modo per prevalere.

      Sartes doveva pensare che ciò che gli stava accadendo era di certo temporaneo. I ribelli avrebbero vinto, il che significava che avrebbero catturato Stefania e lei avrebbe raccontato loro ciò che aveva fatto. Sarebbero venuti a cercarlo, proprio come avevano fatto suo padre e Anka quando si era trovato bloccato nel campo militare.

      Ma in che razza di posto sarebbero dovuti venire. Sartes guardò fuori mentre il carro avanzava sussultando attraversando il paesaggio, e vide la piattezza dei dintorni che lasciava spazio a fosse e cumuli rocciosi, stagni ribollenti di nero e calore. Anche da dove si trovava poteva sentire l’odore acre e amaro del catrame.

      C’erano delle persone che lavoravano in file. Sartes vide le catene che li tenevano legati tra loro a coppie mentre dragavano il catrame con dei secchi e lo raccoglievano in modo che altri potessero usarlo. Poteva vedere le guardie che stavano loro addosso con delle fruste, e proprio mentre guardava un uomo cadde per i colpi che riceveva. Le guardie lo liberarono dalle catene e lo spinsero a calci nella fossa di catrame più vicina. Il catrame ci mise molto a ingoiare le sue grida.

      Sartes allora avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non poteva. Non poteva levare gli occhi dall’orrore di tutto questo. Dalle gabbie a cielo aperto che erano ovviamente le dimore dei prigionieri. Dalle guardie che li minacciavano come non fossero niente più che animali.

      Guardò fino a che il carro non si fermò e i soldati lo aprirono con le armi in una mano e le catene nell’altra.

      “Prigionieri fuori,” gridò uno di essi. “Fuori o daremo fuoco al carro con voi dentro, schifosi!”

      Sartes strisciò fuori alla luce insieme agli altri e poté osservare il pieno orrore della situazione. I fumi di quel posto erano quasi travolgenti. Le fosse di catrame attorno a loro ribollivano in strane e imprevedibili combinazioni. Addirittura mentre lui guardava, un pezzo di terreno vicino a una delle fosse cedette cadendo nel catrame.

      “Queste sono le fosse del catrame,” annunciò il soldato che aveva parlato. “Non preoccupatevi di abituarvici. Sarete morti ben prima che ciò accada.”

      La parte peggiore, sospettòSartes mentre gli fissavano un anello alla caviglia, era che poteva anche darsi che avessero ragione.

      CAPITOLO CINQUE

      Tano fece scivolare la sua piccola imbarcazione fino alla secca della spiaggia distogliendo lo sguardo dagli anelli disposti sotto la linea della marea. Si fece strada sulla spiaggia, sentendosi esposto a ogni passi in mezzo a quel posto di roccia grigia. Sarebbe stato fin troppo facile essere avvistato lì, e Tano non voleva assolutamente essere visto in un posto come quello.

      Si arrampicò lungo un sentiero e si fermò sentendo la rabbia che si univa al disgusto mentre scorgeva cosa c’era da entrambe le parti della via. C’erano dei congegni – forche e lance, caterine e patiboli – tutti ovviamente intesi per procurare una morte spiacevole a chi vi fosse introdotto. Tano aveva sentito parlare dell’Isola dei Prigionieri, ma ad ogni modo la malvagità di quel posto gli faceva venire voglia di spazzarlo via.

      Continuò lungo il sentiero, pensando a come potesse essere la vita per chiunque venisse portato lì, circondato da pareti rocciose e con la consapevolezza che solo la morte lo aspettava. Ceres era veramente finita in quel posto? Solo il pensiero era sufficiente a fargli sentire una fitta allo stomaco.

      Davanti a sé Tano sentì delle grida, colpi di frusta e urla che risuonavano tanto animali quanto umane. C’era qualcosa in quel suono che lo fece restare immobile: il suo corpo gli diceva di prepararsi alla violenza. Si affrettò a risalire il sentiero, sollevando la testa al di sopra del livello delle rocce che gli bloccavano la vista.

      Ciò che vide oltre lo lasciò a bocca aperta. C’era un uomo che correva, i piedi scalzi che lasciavano delle orme insanguinate sul terreno roccioso. Indossava abiti laceri e strappati, una manica che penzolava dalla spalla, uno strappo sulla schiena che lasciava vedere una ferita al di sotto. Aveva capelli selvaggi e una barba ancora più selvaggia. Solo il fatto che i suoi abiti erano di seta lasciava intuire che non avesse vissuto a quel modo per tutta la sua esistenza.

      L’uomo che lo inseguiva sembrava, se possibile, ancora più selvaggio, e c’era qualcosa in lui che fece sentire Tano come la preda di un qualche grosso animale, intenta a guardare il suo predatore. Indossava un misto di indumenti di pelle che sembravano essere stati rubati da una decina di posti diversi, e aveva il volto striato di fango in un modo che Tano sospettava fosse appositamente congegnato per farlo mimetizzare con la vegetazione della foresta. Aveva in mano una mazza e un pugnale corto, e i versi che emetteva mentre seguiva l’altro uomo fecero venire a Tano i brividi.

      Per istinto Tano avanzò. Non poteva starsene lì a guardare qualcuno che veniva assassinato, neanche lì dove tutti avevano commesso un qualche crimine per esservi finiti. Salì