Una Ragione per Salvarsi . Блейк Пирс

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Название Una Ragione per Salvarsi
Автор произведения Блейк Пирс
Жанр Современные детективы
Серия Un Mistero di Avery Black
Издательство Современные детективы
Год выпуска 0
isbn 9781640293731



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Un bagaglio troppo pesante. Non ce l’avrebbe mai fatta.

      Invece eccomi qui, pensò, rileggendo i dettagli. Forse è per questo che era sempre così disposto a parlare con me in prigione. Forse era tra quelli che non credevano che sarei riuscita a diventare una detective. Quando ce l’ho fatta, e sono anche diventata un’agente maledettamente brava, forse mi sono guadagnata il suo rispetto.

      Era triste, ma sperava che fosse così. Le piaceva pensare che non le importasse del rispetto di Howard Randall, ma non era vero. Forse era per via della sua intelligenza, o magari il semplice fatto che nessuno l’aveva mai messa alla prova come aveva fatto lui in quelle occasioni in cui avevano parlato.

      Ripensò a quegli incontri mentre analizzava i fascicoli e i dettagli rimbalzavano l’uno sull’altro come un frenetico incontro di tennis nella sua mente. Avanti e indietro, avanti e indietro.

      Sembrava genuinamente felice ogni volta che ci vedevamo, a eccezione di quell’unica volta in cui ha pensato che mi stessi approfittando di lui. Aveva delle conoscenze in prigione, era in grado di ottenere notizie da fuori precluse agli altri prigionieri.

      Quelle informazioni gli hanno rivelato qualcosa? Gli hanno dato una ragione per evadere, oltre alla libertà in sé?

      E dopo che è evaso, che cosa avrebbe fatto? Che genere di persona sarebbe stato? Sarebbe scappato il più lontano possibile per vivere come un uomo libero (anche se ricercato in tutti gli stati)?

      O avrebbe iniziato nuovamente a uccidere? Si dice che quando si commette un omicidio e si supera lo shock iniziale, il secondo sia più semplice. E il terzo diventa quasi un gesto naturale.

      Ma Howard non sembrava il tipo da agire in base a un istinto naturale.

      Tutti gli omicidi originali erano semplici e puliti.

      L’ultima vittima è stata uccisa in maniera grottesca… come se l’assassino stesse cercando di dimostrare qualcosa.

      Howard avrebbe mai voluto dare una dimostrazione di forza?

      E mentre rifletteva, riusciva a immaginarlo, seduto dall’altra parte del tavolo della prigione davanti a lei, con l’inizio di un sorriso perennemente sul volto. Sicuro di sé. Quasi orgoglioso.

      Devo trovarlo, pensò. O almeno devo capire se è davvero lui l’assassino. E il modo migliore per iniziare è parlare con chiunque lo conoscesse così come lo conoscevo io. Devo parlare con le persone con cui lavorava, gli altri insegnanti ad Harvard.

      Le sembrava un piano debole, ma almeno era qualcosa. Certo, O’Malley non la voleva sul caso, ma quello che non sapeva non lo avrebbe ferito.

      Guardò il cellulare e scoprì che si erano fatte le 12:10. Con un pesante sospiro, riunì tutti i fascicoli in un’unica pila e li appoggiò sul comodino di Ramirez. Quando si spogliò per infilarsi a letto, lo fece lentamente, ricordando come era stato l’ultima volta che si era trovata nella sua camera, a togliersi i vestiti.

      Quando si infilò sotto le coperte, decise di lasciare la luce accesa. Non credeva nelle attività paranormali, ma percepiva… qualcosa. Per un breve istante, pensò di riuscire a sentire Ramirez nella stanza insieme a lei, a farle visita mentre fluttuava da qualche parte tra la vita e la morte.

      E anche se Avery sapeva che non era possibile, non se la sentiva di affrontare il buio.

      Quindi la luce rimase accesa e lei riuscì ad addormentarsi abbastanza in fretta.

      CAPITOLO SETTE

      Senza le risorse della centrale, Avery doveva affidarsi agli stessi strumenti di chiunque altro sul pianeta. Quindi, davanti a una tazza di caffè e qualche vecchio bagel che aveva trovato nella dispensa di Ramirez, avviò Google e si mise a lavoro. Grazie ai fascicoli che aveva portato con sé, conosceva già i nomi di tre professori che avevano lavorato a stretto contatto con Howard durante il suo periodo ad Harvard. Uno di loro era deceduto l’anno prima, lasciando solo due potenziali fonti. Inserì i loro nomi nella maschera di ricerca di Google, cliccò tra le pagine dei Dipartimenti e dello Staff, e si salvò i loro contatti nel cellulare.

      Mentre lavorava, Rose entrò in cucina. Annusò l’aria in maniera esagerata dirigendosi verso la macchina del caffè.

      “Caffè. Buono.”

      “Come hai dormito?” chiese Avery.

      “Uno schifo. E mamma… sono le sette del mattino e tecnicamente non stai lavorando. Quindi cosa ci fa in piedi?”

      Avery alzò le spalle. “Non sto tecnicamente lavorando, suppongo.”

      “Non finirai nei guai con il tuo capo?”

      “No, se non lo scopre. A questo proposito… oggi devo uscire per un po’. Ti posso lasciare da qualche parte?”

      “A casa mia,” rispose Rose. “Se dovrò nascondermi insieme a te per qualche altro giorno, nell’appartamento di qualcun altro, voglio qualche cambio di vestito e uno spazzolino da denti.”

      Avery ci rifletté per un momento. Sapeva che Sawyer e Dennison erano ancora seduti fuori, e probabilmente stavano per essere sostituiti da un’altra coppia di agenti. Di solito lavoravano a turni di dodici ore. L’avrebbero seguita ovunque fosse andata, per accertarsi che fosse al sicuro. Le avrebbero messo i bastoni tra le ruote. Ma stava già elaborando un piano.

      “Ehi, Rose, dove hai parcheggiato la tua auto?”

      “A un isolato dal tuo appartamento.”

      Lo aveva immaginato. Sawyer e Dennison avrebbero contattato automaticamente Connelly o O’Malley se fosse tornata a casa sua. Ma forse se avesse confuso un po’ le cose e si fosse diretta altrove, sarebbe stato più facile.

      “Okay,” disse Avery. “Torneremo a casa tua. Devo fare una chiamata al volo e vedere se Sawyer e Dennison possono darci uno strappo da te.”

      “Okay,” accettò Rose, ovviamente scettica sui suoi programmi, come se avesse capito che sotto c’era qualcosa di losco.

      Prima di contattare Sawyer e Dennison per chiedere loro un passaggio, come se stesse obbedendo agli ordini e restando al sicuro, chiamò una compagnia di taxi e prenotò un veicolo che si fermasse dietro l’appartamento di Rose di lì a mezz’ora.

      ***

      Era stato fin troppo facile. E non perché Sawyer e Dennison non fossero dei bravi poliziotti. Semplicemente non sospettavano che Avery avrebbe voluto disobbedire. Così come si era organizzata, avrebbe preso due piccioni con una fava. Uscendo dal retro del palazzo dove viveva Rose senza farsi vedere, avrebbe avuto qualche ora di libertà per fare quello che voleva senza temere ciò che avrebbe potuto pensare O’Malley, mentre Rose sarebbe rimasta sotto la protezione della polizia. Era una vittoria su tutti i fronti. Il fatto che li avesse chiamati per chiedere un passaggio fino all’appartamento di Rose era la ciliegina sulla torta.

      Il taxi la lasciò nel campus di Harvard poco dopo le nove del mattino. Dal sedile posteriore dell’auto aveva chiamato i due professori, Henry Osborne e Diana Carver. Osborne non aveva risposto, ma era riuscita a parlare con la Carver, che si era tenuta libera sulle dieci per discutere con lei. Dopo aver cercato meglio sul sito di Harvard, aveva trovato l’ufficio di Osborne e gli orari del suo ricevimento. Aveva deciso che sarebbe andata a dare un’occhiata nell’ora circa che mancava all’appuntamento con la Carver.

      Mentre attraversava il campus, lanciando un’occhiata occasionale alla mappa sul suo telefono, si prese qualche momento per apprezzare l’architettura. Dato che la maggior parte della popolazione di Boston era abituata all’esistenza del college, spesso dimenticava la storia del posto. Avery riusciva a percepirla nella gran parte degli edifici, oltre che nell’atmosfera storica che permeava il posto, i prati impeccabili, i vecchi mattoni, il legno e le statue.

      Si concentrò su quei dettagli mentre si avvicinava all’edificio degli Studi Filosofici. Henry Osborne era un insegnante alla facoltà di filosofia, specializzato in Etica Applicata e Filosofia