Spirito, Anima, Persona Dall'Antichità Greca Ed Ebraica Al Mondo Cristiano Contemporaneo. Guido Pagliarino

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Название Spirito, Anima, Persona Dall'Antichità Greca Ed Ebraica Al Mondo Cristiano Contemporaneo
Автор произведения Guido Pagliarino
Жанр Философия
Серия
Издательство Философия
Год выпуска 0
isbn 9788873043669



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ma deriva, secondo alcuni, da ánemos, vento o respiro, oppure, secondo altri, da anaigma, cioè esangue. Mi limito a riferirlo, non essendo io un etimologo.

      In Grecia attorno al VII secolo a.C., quindi al tempo dei poemi omerici e prima dell'Orfismo e di Pitagora (VI secolo) e di Socrate e Platone (V-IV), la parola psyché è ancor usata nel senso pratico di vita in generale, un’energia naturale posseduta dagli esseri umani e dagli animali e riconoscibile nel respiro, che quando cessa a causa dell’età avanzata o per altro motivo abbandona il vivente alla morte. La vita è inoltre individuabile nel sangue che, quando fuoriesce abbondantemente per una ferita mortale, porta al decesso – è la stessa idea che ritroviamo, peraltro, presso gli Ebrei ancora al tempo di Gesù –. Secondo Omero l’essere umano possiede anche il thimos (all’incirca la coscienza), sede di sensazioni, sentimenti e pensieri.

      Nel VI secolo prima di Cristo in Grecia psyché assume il significato di anima individuale viva, cosciente e raziocinante, indipendente dal corpo e immortale; per gli orfici e, in seguito, per i pitagorici e per Platone, l'anima è capace di reincarnarsi.

      Il VI secolo a.C. è un periodo basilare per la storia del pensiero: in Cina vivono Lao-tse e Confucio, in India Budda, in Persia, presumibilmente, Zarathustra, nel mondo greco nasce Pitagora e si stendono a Gerusalemme i cinque libri della Legge – Pentateuco – (a proposito del processo storico di formazione del Pentateuco - libri Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio - e di altri importanti testi biblici, si può andare, volendo, al mio e-book "Il vento dell'amore").

      Successivamente, Platone cerca l’etimo della parola, individuandolo nel verbo “respirare”, anapnêin, e pure in “io faccio asciugare”, ovvero “io rinfresco”, anapsycho.

      Il corpo – soma – è per tutti quei pensatori la provvisoria tomba dell’anima o, con altra metafora, ne è il carcere, e dunque la psyché non può esprimersi, impedita com’è dal medesimo corpo, se non quand’esso è debole, come nel sonno e prima della morte; morire non è dunque un evento spregevole ma nobile, perché libera l’anima dal corpo. Per Pitagora di Samo però, come d’altronde per gli orfici, il corpo è sì la prigione dell’anima, ma la filosofia, insieme a certe pratiche di purificazione, può aiutare a sollevare l'anima stessa dalle cattive influenze del corpo; però (siamo nel dualismo corpo-anima e nello spiritualismo), si rende anche necessaria la metempsicosi: solo successive reincarnazioni possono consentire la liberazione definitiva della psyché dal soma nel ciclo delle nascite e delle morti. Col Pitagorismo le anime individuali vengono viste come espressioni d’una comune Anima cosmica, d'un comune Spirito – Pneyma – secondo la concezione di un’origine del mondo unitaria. Nasce così l’emanazionismo, dottrina della provenienza delle anime umane dalla divinità. Platone considera l’Anima universale come la più perfetta delle cose generate: “Dopo che secondo la mente del creatore fu compiuta tutta la creazione dell’anima, dopo questa compose dentro di essa tutta la parte corporea […] ma l’anima, che è partecipe di ragione e d’armonia, è la migliore delle cose generate dal migliore degli esseri intelligibili ed eterni” (Timeo 37, traduzione di Cesare Giarratano, in Opere complete Platone, vol. 6, Universale Laterza, 1974).

      Prima di seguitare con Platone, presento alcune considerazioni sul suo maestro Socrate.

      Certe volte si legge o ascolta che il concetto greco di anima si deve a Socrate. Altri, cui m'accodo, preferiscono dire a Socrate-Platone, anzi a Platone-Socrate, ritenendo assai prevalente il contributo del primo. D’altronde, come appare negli stessi testi e manuali di storia della filosofia, la figura storica del maestro di Platone è piuttosto vaga e distinguere tra il pensiero mai scritto del Socrate storico e quello espresso nei Dialoghi di Platone, dei quali è soggetto docente la figura socratica, è notoriamente impresa ardua. È stata tentata da molti, ma il Socrate della storia rimane non ben definito, mentre la figura di quello platonico continua a essere confusa col precedente nel sentire comune; per esempio, non tutti hanno presente che il Socrate storico non ha mai parlato di metodo dialettico maieutico, cioè del levare la conoscenza dall’anima dell’interlocutore (poiché non suppongo la conoscenza della storia della filosofia in tutti i miei lettori, ritengo non inutile precisare un concetto anche quando sia piuttosto noto) così come un’ostetrica leva il neonato dalla madre, interlocutore nel quale si suppone esistere un latente patrimonio di aprioristica conoscenza; tale metodo è genuinamente platonico, non socratico, deriva dall’idea di Platone della preesistenza delle anime.

      Ãˆ, come scriveva lo studioso di Socrate Heinrich Maier, un “procedimento che compare per la prima volta nel Menone e […] in seguito nel Teeteto è chiamato espressamente maeiutica”, con cui “il Socrate storico non ha assolutamente che vedere” (Heinrich Maier, Socrate, cit., vol.2).

      La figura del maestro di Platone non era stata ancora definita con certezza, nonostante tanti studi d’autori diversi, quando il Maier dava alle stampe nel 1913 la sua opera su Socrate, che apriva affermando che tale figura sembrava totalmente “sepolta sotto le scorie della tradizione letteraria”, vale a dire principalmente sotto le testimonianze di Platone, Senofonte e Aristotele (considerando che “il mallevadore di Aristotele […] è, lo possiamo dire con sicurezza, Senofonte”) e di altri, come d’Antistene (filosofo già allievo di Socrate) e d’Aristofane la cui testimonianza grottesca della figura socratica, nella commedia Le Nuvole, precede tutte le altre documentazioni, essendo stata rappresentata l’opera per la prima volta, nel 423 a.C., quand’era ancora vivo Socrate, defunto nel 399 in seguito alla ben nota condanna a morte: egli “vi appare”, affermava il Maier, “un almanaccante filosofo della natura, uno scrutatore di astri acchiappanuvole che delle cose più prossime di questa terra dà le spiegazioni più remote […] un maestro della nuova sapienza, che rende più forti i discorsi più deboli, fa trionfare gli ingiusti sui giusti e si mette sotto i piedi diritto e morale”: diciamo che più che una canzonatura di Socrate appare una caricatura dei sofisti, ciò ch’egli non era secondo le altre raffigurazioni di lui, in testa quella di Platone nella sua Apologia di Socrate (cfr. in proposito l’introduzione di Francesco Adorno in I sofisti e Socrate, cit.); scriveva però il Maier che “Platone, e così pure Senofonte e Antistene possono parlare per propria esperienza solo relativamente al periodo in cui stettero in relazione col Maestro”, cioè all’ingrosso nel suo ultimo decennio di vita; dunque, tornando al Socrate di Aristofane, com’è stato “ammesso più volte” il Socrate storico, prima, avrebbe potuto essere diverso e forse proprio un sofista acchiappanuvole; infatti le persone nel tempo possono mutare e effettivamente, di solito, cambiano – si spera in meglio –, ipotesi questa che comunque non tocca la figura del maestro ascoltato da Platone e dagli altri uditori assai dopo quel 423 a.C. in cui si rappresentarono Le Nuvole per la prima volta.

      Nei dialoghi platonici si tratta insomma di distinguere quanto del discorso sia di Socrate, o almeno anche suo, e quanto spetti al solo Platone.

      La stessa Apologia, che pur ha “fondamentale importanza”, di certo “non è un documento storico in senso stretto. Non vi si può cercare la riproduzione platonica dell’arringa difensiva di Socrate in giudizio”; ma “certamente nell’Apologia son penetrate in buon numero vere reminiscenze”. Quest’opera, secondo il Maier, assieme al dialogo Critone coglie a sufficienza, sia pur sottostando alla costruzione letteraria, la figura storica del maestro di Platone, come pure, terza e ultima, un’opera platonica più tarda, il Simposio, dove volutamente l’autore richiama l’originale figura socratica, vale a dire quella dell’Apologia e del Critone, pur esponendo di certo la propria personale filosofia; tutti gli altri dialoghi, secondo un’idea predicata ancor oggi, sarebbero espressioni di questa sola filosofia e il Socrate che vi parla sarebbe nient’altri che il portavoce di Platone.