Il Dono Del Reietto. Mario Micolucci

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Название Il Dono Del Reietto
Автор произведения Mario Micolucci
Жанр Героическая фантастика
Серия
Издательство Героическая фантастика
Год выпуска 0
isbn 9788873048893



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basta che lo punti su un oggetto lo scuoti un po' e quello si frantuma. Sarà bello condividere con te quello che ho appreso, ovviamente, tu dovrai fare lo stesso con me» continuò Kit.

      «Strano, per me usarlo non è così facile: io ho bisogno di concentrarmi e di entrare in sintonia con il mondo circostante; inoltre fatico a localizzare bene il punto da colpire» constatò Djeek ingenuamente.

      Kitzo, in realtà, aveva provato a usare il bastone in tutti i modi, senza ottenere assolutamente niente e sperava di carpire qualche segreto. Continuò la messa in scena rispondendo con ostentata sicurezza: «Ah sì, all'inizio era così, ehm... come hai detto, ma poi ho affinato la mia tecnica e ora mi basta puntarlo per attivarlo. Se poi mi fai vedere come lo usi, osserverò i tuoi errori e ti aiuterò a migliorare. Te l'ho detto: siamo una squadra!» Poi, guardandogli il polpaccio, aggiunse: «Ora, però, dobbiamo preoccuparci di curare al meglio le nostre ferite, altrimenti marciranno. Poco fa, approfittando del mio lavoro di assistente di Hork, gli ho sottratto le chiavi del recinto. Tienile e prendi anche quest'otre. A mezzogiorno, approfittando del fatto che quasi tutti dormono, dovrai sgattaiolare fuori e arrivare al Santuario di Corrupto per attingere il Dono dalla Fonte. Ieri, molti degli incursori sono partiti per compiere una razzia e non torneranno prima del tramonto, quindi per te sarà più facile. Ho già parlato con Griz per medicarci: dovrà preparare un impasto.»

      Djeek, un po' interdetto, obiettò: «Perché devo andarci io e non tu?»

      «Accidenti!» esclamò l'altro mostrandosi deluso. «Ti facevo più coraggioso. E poi, devo stare qui per coprirti la fuga: sai? ho una certa influenza su Hork. Comunque, se preferisci così, rendimi chiave e otre, farò tutto da solo. A quanto pare, non vuoi essere mio complice.»

      «No, no!» si affrettò a ritrattare Djeek. «Ci penso io, ma ti darò il Dono, solo se mi renderai il bastone.»

      «D'accordo. Lo avrei fatto comunque: non ti fidi del tuo socio? Dovremo effettuare lo scambio nell'orario di uscita. Facciamo nella palude, nel luogo in cui lo tenevi nascosto. Quando torni al vivaio ricordati, però, di lasciare la chiave nell'incavo di quell'albero, io provvederò a rimetterla al suo posto.»

      Djeek attese diligentemente che il sole fosse alto e sgattaiolò fuori dal recinto. Le strade del villaggio di Bocca del Verme erano semi-deserte, e arrivare nei pressi della Fonte inosservato non fu particolarmente difficile. Si accucciò dietro una pila di sacchi contenenti paglia di alghe essiccate, per osservare la situazione: il Santuario non era recintato, ma c'erano cinque goblin a tenere la guardia e sarebbe bastato un loro allarme per farne accorrere molti altri dalla prospiciente caserma. Era la prima volta che poteva vederlo così da vicino. Si trattava di un'area circolare di oltre cinquanta passi di diametro: ai suoi lati, si ergevano quattro enormi spuntoni ricurvi, mentre al centro era stato costruito un pozzo sovrastato da un totem con curiose incisioni. Secondo la leggenda, il Santuario non era altro che la bocca del Verme Primordiale. Essa, da quando il gigantesco essere si assopì, si era riempita nel corso dei millenni di terra e polvere. La Fonte era, in realtà, un pozzo posto al centro del piazzale da cui era possibile attingere gli enzimi dalle profondità remote del ventre dell'Emissario di Corrupto. Djeek stimò che se la sua bocca era così larga, stando alla sua forma allungata, doveva avere un corpo che scendeva in profondità per ben oltre mille passi: forse aveva esagerato a chiamare il suo piccolo bastone con il nome di Grande Verme. Mentre era immerso in quei pensieri, si appoggiò distrattamente a un sacco che cadde a terra. Una guardia se ne accorse e ordinò a un sottoposto: «Vai a controllare, fannullone!»

      La fortuna volle che quest'ultimo avesse scelto proprio quel pretesto per provare a sovvertire la gerarchia. «Fattelo tu!» gli ribatté con tono di sfida.

      Il capitano rispose con un fendente dall'alto verso il basso che gli tagliò via buona parte dell'orecchio appuntito. L'altro, che aveva parzialmente schivato il colpo, non demorse ed estrasse la sua rudimentale lama. Scoppiò una rissa che attirò l'attenzione divertita delle altre guardie.

      Djeek raccolse il coraggio e ne approfittò per arrivare alla Fonte. Riempì l'otre del denso liquido di colore verde acceso e corse via zoppicando fino al recinto del vivaio. Depose la chiave nell'incavo e cercò riparo dal sole sotto un cespuglio di rovi. Poco dopo, vide Kitzo prelevare la chiave e recarsi verso la capanna di Hork: “Missione compiuta, tutto è andato per il meglio!” pensò soddisfatto di sé. Si versò qualche goccia del Dono sulla ferita, gli procurò un forte dolore, ma subito dopo la senti pulsare meno: non trattato in un impasto, non era del tutto efficace, ma qualche beneficio lo dava comunque. Si addormentò per svegliarsi qualche ora più tardi, prima del calare del sole. Era ancora febbricitante, ma sarebbe sicuramente sopravvissuto fino a mezzanotte per farsi medicare.

      Raggiunse il posto dell'appuntamento dove trovò Kitzo che, non avendolo visto arrivare, stava battendo con foga feroce il bastone contro una roccia. «Stupida asta! Perché non funzioni!» imprecava. Solo a quel punto Djeek capì, ma decise di stare al gioco: doveva prima riavere il suo Grande Verme, far finta di insegnargliene l'uso fino a mezzanotte e dopo essere stato curato da Griz, voltargli le spalle. Quindi, attese che il socio si ricomponesse, prima di venire allo scoperto.

      L'altro lo accolse con calore e chiese: «Allora, amico?»

      «Tutto secondo i piani. Ecco l'otre, dammi il bastone che ti faccio vedere come lo uso io, tu però dovrai aiutarmi a migliorare».

      Stavano per effettuare lo scambio, quando Kitzo notò che in lontananza, da dietro al compagno, stava arrivando Hork: doveva essersi insospettito e lo aveva seguito. Agì in un attimo, colpì l'incredulo Djeek con il bastone e gridò: «Maledetto! Cosa pensavi di fare, come hai potuto rubare il Dono dal Santuario, aspetta che lo racconti a Hork!» Quest'ultimo arrivò un istante dopo e, prima che Djeek si riavesse dalla bastonata, lo aveva già preso per il collo e sollevato da terra.

      «Signore!» intervenne Kitzo. «Questo ladruncolo...»

      «...ha rubato il Dono: ho sentito tutto!» lo interruppe l'addestratore. «E tu? Dove hai preso quel bastone?»

      «Ah, questo! Ho visto Djeek che lo estraeva da quella fessura, ho avuto una colluttazione con lui e glielo ho sottratto.» Poi, un po' riluttante, glielo porse dicendo: «Stavo giusto per consegnartelo, Signore!»

      «Ora, devo portare questa nullità al cospetto dello Sciamano. Spero che lo condanni a marcire per sempre nel ventre del Grande Verme. Poi, dovremo finire il nostro discorso» aggiunse rivolgendosi minaccioso a Kitzo. Nel frattempo Djeek, ormai cianotico, si dimenava nel tentativo di respirare.

      

      rg.191.FFF.F1E.8:11-31/04/11522 (Dharta Misathon)

      «Ora, grazie a te, mi ingrazierò lo sciamano!» Hork si trascinava dietro il povero Djeek che, lungo il tragitto, aveva subito percosse di ogni genere.

      «Spero che questo bastone abbia qualche valore» continuò mentre per diletto glielo piantava su un piede. Djeek fece per urlare, ma ricevette un altro colpo sul torace che gli troncò il respiro.

      Passarono nei pressi del vivaio, dove alcuni compagni seguivano la scena con interesse e ilarità; raggiunsero, infine, il Santuario di Corrupto nei cui pressi era stato inchiodato a un palo un goblin con un orecchio mozzato. Questi usava le ultime forze rimastegli per bestemmiare e inveire contro gli straziatori che, già, avevano iniziato ad assaporare le sue carni.

      Le guardie, nel frattempo, avevano trovato un altro passatempo: giocavano passandosi a suon di calci e lanci un cucciolo di lupo dal pelo nero. Ogni tanto, al poveretto veniva concesso un attimo di pausa, giusto per prolungargli l'agonia: questo si rialzava malfermo e provava a mostrare i denti, ma il suo tentativo di ringhio veniva subito trasformato in un nuovo guaito, poiché il pestaggio riprendeva tra risate e urla selvagge. Per i goblin, non esisteva nulla di più appagante che torturare creature indifese. Preferivano i neonati umani, ma, di qualsiasi specie esso fosse, un piccolo da seviziare era comunque una tentazione irresistibile. I lupi erano troppo importanti per poter essere uccisi, quindi non era concesso maltrattarne troppo i cuccioli, a meno che questi non facessero parte dello scarto della nidiata. Evidentemente, quel malcapitato lo era: esso sembrava avere ancora gli occhi semichiusi come