Название | Il Dono Del Reietto |
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Автор произведения | Mario Micolucci |
Жанр | Героическая фантастика |
Серия | |
Издательство | Героическая фантастика |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788873048893 |
Djeek finì di caricare il carretto e, sollevandolo per le due lunghe aste apposite, prese a trasportarlo verso Est inoltrandosi nella foresta lungo il sentiero indicatogli. Andava in missione, ma non ricevette alcun saluto se non la minaccia: «Ricordati del tuo bastone e della tua bestiola!»
Effettivamente, Aliah aveva individuato bene le leve giuste per costringerlo a fare ciò che voleva: entrambi erano entrati a far parte della sua vita da poco, ma era come se fossero stati generati con lui. Li sentiva parte di sé, una larga fetta della propria persona. Senza di essi, tornava a essere Djeek, l'insignificante verme. Il bastone gli aveva donato poteri eccezionali che lo rendevano in qualche modo speciale fornendogli una formidabile cura alla sua carenza cronica di autostima. Zadza... Zadza gli era affine nel destino, ma era molto più impavido e, inoltre, aveva dimostrato di essere pronto a dare la vita per lui, quando, fino a quel momento, l'unica cosa che gli altri erano disposti a elargirgli erano solo insulti, umiliazioni e percosse.
«Il Bastone è la mia forza e Zadza il mio coraggio» pensò Djeek ad alta voce. «Sono doti che non ho in me, ma noi tre, insieme, siamo un grande goblin.» Nel calarsi in quei pensieri, aveva completamente dimenticato di concentrarsi sui segnali e quindi, passatone uno senza seguire le indicazioni della Strega, fu bruscamente riportato alla realtà da un'esplosione di fiamme verdi che carbonizzarono all'istante un malcapitato scoiattolo, pochi passi davanti a lui. La lezione gli servì e, per il resto del tragitto, si concentrò sui segni a forma di teschio e fu molto meticoloso nel contare i passi. Il percorso era scosceso, ma le grandi ruote del carretto rivestite di un materiale mai visto, morbido e di colore nero, rendevano agevole il suo trasporto. Così, giunse nei pressi della meta prima del tramonto: era stanco, ma non stremato, anche perché lungo il percorso, aveva razziato diversi nidi di uccelli mangiando uova o piccoli pennuti non ancora pronti per il volo.
Quando fu in vista della città, scorgendone le alte mura di legno, ne rimase impressionato e in un qualche senso intimorito. In quel momento, comprese appieno perché i razziatori si limitassero a saccheggiare solo i piccoli e poveri villaggi, evitando le più ricche e prospere città. Assediare e conquistare una città fortificata non era impresa da poco e, sapendo che le sue mura erano di legno trasmutato e ignifugo, l'impresa appariva pressoché impossibile.
Eppure, c'erano stati tempi in cui le orde dei goblin erano in grado di conquistare e radere al suolo fortezze ben più maestose di quella che gli si prospettava davanti:
«Nessuna fortezza resisteva alle schiere di Corrupto a milioni giungevano e come uno sciame di termiti scalavano mura, attraversavano fossati e aprivano brecce. Cadde Roccathon con le mura alte cinquanta passi; cadde Velatia circondata dalle acque mortali; cadde Aquiladria arroccata sulle alte vette; cadde Artanthia dalle dieci cinte...» recitava Djeek mentre, uscito dal folto della vegetazione, si avvicinava a Forte di Legno.
Quando si approssimò ulteriormente, vide che la grande porta occidentale era aperta: evidentemente, la situazione era abbastanza tranquilla e le scorribande dei pochi goblin rimasti a Grande Palude, da tempo, non interessavano più le città. Sulle mura, garrivano tre grandi bandiere: una con il simbolo di un umano nudo a gambe e braccia spalancate su sfondo bianco, l'altra con un arco e freccia su sfondo verde e quella centrale con un'ampolla sempre su sfondo verde. L'ampolla doveva essere il vessillo del Marchese, visto che, come aveva appreso da Aliah, fondava la sua fortuna sulla produzione della resina per il legno; l'arco e la freccia erano il simbolo del Regno di Faunna, dato che le foreste erano il territorio di caccia prediletto da tutti i nobili del continente, mentre per esclusione, l'umano nudo rappresentava l'Impero, anche se non ne comprendeva bene il significato. A guardia della porta, erano appostate due sentinelle, mentre altre due erano posizionate sulle torrette poste ai due lati dell'accesso. Fu proprio una di queste che scoccò una freccia: essa si andò a conficcare sul legno del carretto in segno di monito.
«Altolà, goblin! Come osi avvicinarti così spavaldamente alla nostra città?»
Djeek, era terrorizzato, gli umani che era uso vedere erano quelli schiavizzati che i razziatori riportavano nudi, incatenati e disarmati. Questi, invece, indossavano una cotta di maglia che copriva anche la testa e su di essa era posta una corazza verde di cuoio indurito recante il simbolo dell'ampolla. Oltre che dell'arco, disponevano di una spada mantenuta tramite un fodero alla cintura e di un coltello da caccia inserito in un'apposita fibbia sul corsetto.
Il goblin, disorientato e un po' inibito, esitò troppo nel dare una risposta e ciò gli costò che un'altra freccia gli passasse sibilando accanto all'orecchio.
«S-so... sono stato inviato dalla Signora della Palude, devo vedere il Maestro Aaron Mansil. Non tirate vi prego!»
«Ah! Quella vecchia strega mostruosa. Sei in anticipo» osservò quello che doveva essere il capitano. «Arnold, va a controllare la merce!» ordinò poi.
«Signor sì. Capitano Marbel!» Una delle guardie al cancello, un tipo magro dall'aspetto astuto, si avvicinò a Djeek con passo al tempo stesso rapido e circospetto. Puntandogli coltello da caccia, gli ordinò: «Apri quel barile in basso a destra!» e, fatti un paio di passi indietro, rimase a guardare arrotolandosi tra le dita uno dei suoi sottili baffetti all'insù.
Djeek, non disponendo di alcun attrezzo per aprire il barile, provo in tutti i modi; tuttavia il coperchio non voleva saperne di venire fuori dall'incastro. Stava per desistere, ma quando vide un'altra freccia conficcarsi nel terreno nei pressi di un suo piede ce la mise tutta: strinse il barile tra le gambe, infilò le dita tra le fessure e tirò con tutta la forza di cui disponeva, sentì anche un unghia spezzarsi, ma continuò. Il coperchio saltò fuori di colpo facendolo ruzzolare a terra e parte del contenuto polveroso gli si versò addosso pietrificando all'istante gran parte della sua veste e anche alcune zone della sua pelle. Provò a rialzarsi, ma il vestito, ormai rigido, gli impediva ogni movimento. Si ritrovò a dimenarsi inerme con la schiena a terra come una tartaruga rovesciata sul dorso.
Le guardie persero ogni freno inibitorio di serietà impostogli dal ruolo e sbottarono a ridere di gusto; ciò almeno, finché il capitano, ricomponendosi, ordinò: «Jerome porta la biga dall'alchimista e, visto che ti ci trovi, caricaci sopra anche quel goblin testuggine» e trattenendo a stento le risate, aggiunse: «Puoi anche non legarlo, quel cretino l'ha fatto da solo. Arnold va con loro, sarà Sir Mansil a darti nuove istruzioni.»
Jerome, una guardia corpulenta dallo sguardo ottuso, raccolse senza sforzo il barile, lo chiuse e lo issò sul carretto, poi tirò su l'inerme goblin usando la sua cintola come fosse un manico rigido e lo depositò sul carico. Entrarono, quindi, nell’abitato. Arnold, con occhi vigili, si occupava di scortarli impedendo ai curiosi di avvicinarsi troppo.
Djeek osservò con grande curiosità l'interno della città. Vide umani indaffarati per le strade e bambini correre e giocare per le vie: alcuni lo indicavano e lo guardavano con interesse, altri ridevano divertiti, altri ancora correvano allarmati dai genitori, piangendo. Poi, passò in un mercato e, tra tutte le cose che osservò, fu colpito da una grande gabbia di conigli: doveva essere un sogno, tanti roditori inermi pronti a essere presi e divorati con il cuore ancora pulsante. Desiderò di poter entrare in quella gabbia e dare sfogo a tutti i suoi istinti famelici assaggiando un po' qua e un po' là tutto quel tesoro culinario. Vide anche altri animali morti e appesi, ma non avevano la succulenza delle prede vive: che spreco ucciderle prima di assaggiarne il sangue ancora caldo. Ciò che non capiva era, come di fronte a tutto quel ben di Corrupto, gli umani non si azzuffassero per impadronirsi del bottino migliore.
Le abitazioni, seppur di legno, avevano un aspetto solido e rifinito ed erano prive di falle. Le porte e le finestre potevano essere sprangate. La cosa che più lo colpì era che le abitazioni avessero più piani e che stessero comunque in piedi. Per quanto urbanisticamente caotica, per Djeek, quella città aveva un aspetto talmente ordinato e lindo da inquietarlo.
A un certo punto, Jerome portò il carretto ai margini della via, si fermò e, insieme a l'altra guardia, si immobilizzò in una strana posa rigida ed eretta con una mano sulla fronte come per ripararsi dal sole: tutto per permettere il passaggio di una carovana formata da un grosso carro corazzato. Esso era trainato