Название | Il ritratto del diavolo |
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Автор произведения | Barrili Anton Giulio |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Fiordalisa ebbe una scossa al cuore, ma una scossa piacevole oltre ogni dire. Arrossì da capo, e, con un fil di voce, così rispose a suo padre;
–Quello che voi farete….
–Sarà bene fatto; conosco già il ritornello;—rispose mastro Jacopo, dando un buffetto sulla guancia di sua figlia.—E sia dunque ben fatto, poichè questa è la tua opinione, com'era da un pezzo la mia. Su il viso, bambina, e preparati a ricevere il tuo fidanzato. Mi par di sentire il suo passo per le scale.—
Fiordalisa, che non aveva ancor avuto tempo a riprendere il suo color naturale, aggiunse vermiglio a vermiglio, quando si vide dinanzi Spinello. Questi non sapeva ancor nulla dei discorsi fatti tra mastro Jacopo e suo padre, né dell'annunzio che il vecchio pittore aveva dato alla figlia. Ma quella scena muta e il rossore di madonna gliene dissero abbastanza per farlo rimanere sconcertato davanti a lei, com'ella era turbata davanti a lui.
–E così? Non vi dite nulla!—gridò mastro Jacopo.—Perchè mi state lì grulli e confusi?—Vedi un po', Fiordalisa; eccolo lì, l'uomo che non ardisce mai. Ci scommetto che, con la sua paura di non venire a capo di nulla, non ha neanche creduto di ricordarsi che ci voleva un anello.
–Oh, questo poi!—esclamò Spinello toccato sul vivo.
E posta la mano al borsellino che gli pendeva dalla cintola, ne trasse un cerchietto d'oro; indi si accostò alla fanciulla, e prese la sua mano tremante, e le disse:
–Madonna, non so se sarà abbastanza piccolo per il vostro ditino d'angiola. Ma, se voi non lo sgradite…—
Madonna non rispose nè sì, nè no. Si era lasciata prender la mano; si lasciò mettere in dito l'anello.
Il giovine innamorato cadde in ginocchio e baciò la mano della sua fidanzata. Indi, rialzatosi, le si accostò peritoso o guardandola con occhi ardenti d'amore le bisbigliò all'orecchio:
–Son più felice di un re.—
Mastro Jacopo si era allontanato, per non farci la figura del terzo incomodo. Le confidenti espansioni di due cuori innamorati non voglion testimoni, neanche quando essi siano gli autori della vostra felicità.
Era già l'ora di cena, ma Jacopo di Casentino non parlava ancora di mettersi a tavola, il vecchio pittore aspettava qualcheduno.—
Poco stante si udì un rumore di passi nella camera attigua, e Tuccio di Credi apparve sulla soglia. Il povero Tuccio aveva per solito una faccia rabbuiata, ma quel giorno aveva senz'altro una cera da funerale.
–Maestro,—diss'egli,—è qui messer Luca Spinelli.
–Ah, bene, fallo entrare;—gridò mastro Jacopo.—Ragazzi miei, prima di tornare a casa ero passato da Luca Spinelli, mio ottimo amico, e lo avevo pregato di volere essere dei nostri. In questo giorno così lieto, per voi, i due babbi debbono essere uniti, non vi pare? Peccato,—soggiunse mentalmente, reprimendo un sospiro,—che non ci siano le mamme!—
Tuccio di Credi, che precedeva di pochi passi il nuovo venuto, si tirò da un lato per lasciarlo passare. Il vecchio fiorentino entrò, strinse la mano che gli offriva il pittore, e andò a baciare in fronte la sua futura nuora. Se aveste veduto in quel punto il povero Tuccio di Credi!
–Messer Luca,—disse Jacopo di Casentino,—quello d'oggi non è un invito in pompa magna. Si faranno quattro chiacchiere tra noi, mentre i nostri ragazzi ne faranno mille tra loro, senza dar retta alle nostre. Ma questi sponsali vogliono essere celebrati con una festa di famiglia, che faremo domenica, se vi piace. Tuccio di Credi avvertirà intanto i suoi compagni di bottega, i quali saranno padroni di spargere la notizia ai quattro punti cardinali.—
Tuccio di Credi rispose con un cenno d'assentimento a quell'ultima parte del discorso di mastro Jacopo.
–Mi congratulo con voi, maestro,—disse egli,—e mi congratulo con gli sposi. Quando si faranno le nozze?
–Tra due mesi,—rispose mastro Jacopo,—quando il vostro compagno avrà condotto a termine un'opera testè incominciata nel Duomo vecchio. Desidero che impariate da ciò, ragazzi; desidero che impariate a lavorare di buona voglia. Spinello Spinelli è l'ultimo venuto, ed eccolo già molto innanzi a tutti voi. Non ve l'abbiate per male.
–Perchè dovremmo avercelo a male?—chiese Tuccio di Credi, stringendosi nelle spalle con aria di profonda noncuranza.—Chi è da più degli altri ha ragione di stimarsi fortunato. A noi basterà che voi non ci togliate la vostra benevolenza.
–L'avete, andate là;—rispose mastro Jacopo, col suo piglio tra il burbero e il faceto;—sebbene qualche volta mi facciate disperare, da quei ragazzacci che siete. A domenica, dunque, e preparate le vostre più belle canzoni. Si starà allegri.—
Tuccio di Credi salutò gli astanti e se ne andò verso l'uscio.
Quel giorno Tuccio di Credi era rimasto l'ultimo in bottega. E a lui era toccato di ricevere Luca Spinelli, venuto a quell'ora insolita e con aria misteriosa a cercare mastro Jacopo. A lui, proprio a lui, era toccato di aver le primizie di quell'annunzio matrimoniale, altrettanto doloroso quanto inaspettato.
Tuccio di Credi non sapeva che pensare; non sapeva che dire; aveva perduta la testa. Poco mancò che dimenticasse perfino di chiudere la bottega. Escito di là, andò macchinalmente per le vie d'Arezzo, fino all'osteria del Greco, dove c'era la combibbia serale dei garzoni di mastro Jacopo. Aveva una faccia così scura, che i suoi compagni lasciarono tosto di ridere, per domandargli se si sentisse male.
–Vuoi un confortino? Un cordiale? Un lattovaro?—gli disse il Chiacchera.—Prendi questo; è Montepulciano, e il Greco giura di non averlo annacquato.—
Tuccio di Credi ricusò brevemente, col gesto, il bicchiere che gli offriva il Chiacchiera.
–Sapete la novella?—disse egli.
–Quale novella?—chiese Cristofano Granacci.
–Se non la spifferi, come possiamo saperla?—soggiunse il
Chiacchiera.
Tuccio di Credi rimase un momento sopra di sè, come se volesse raccogliere le proprie forze; indi, con voce sepolcrale, diede il triste annunzio ai compagni:
–Spinello Spinelli, l'ultimo venuto a bottega, sposa la figlia di mastro Jacopo.—
Un grido di meraviglia accolse le parole di Tuccio.
–Come lo sai?—domandò il Chiacchiera.
–Lo so da mastro Jacopo, che c'invita per domenica alla festa degli sponsali e ci raccomanda di preparare le nostre più belle canzoni.
–Oh, le avrà!—disse il Chiacchiera.—Ti assicuro io che le avrà. Un così bel matrimonio! Ci vorranno anche i giullari!
–Già,—osservò tranquillamente Parri della Quercia,—dovevamo immaginarcelo.
–Immaginarcelo! E perchè?—disse Tuccio di Credi.
–Perchè era facile di scorgere che mastro Jacopo vedeva assai di buon occhio Spinello Spinelli.
–Come scolaro, non nego;—ribattè Tuccio di Credi.—Mastro Jacopo ha le sue debolezze, come le ha avute sant'Antonio. Ma neanche sant'Antonio ha portato il suo protetto in paradiso. E non era da immaginare che mastro Jacopo dovesse dare sua figlia a Spinello Spinelli. Sapete che già gliel'avevano domandata parecchi: tra gli altri il Buontalenti, che è un ricco sfondato.
–È vero;—disse Parri della Quercia;—ma tu ricorderai per qual ragione mastro Jacopo non gliel'ha voluta dare. Egli ha sempre detto che la sua Fiordalisa avrebbe sposato uno dell'arte sua. Spinello Spinelli è un pittore; dunque….
–Adagio, Biagio!—entrò a dire il Chiacchiera.—Spinello Spinelli è un mastro Imbratta, finora, un fattore come noi altri, e non può neanche misurarsi con te, Parri della Quercia, che hai già fatto un trittico a tempera, e n'hai avuto lode dagli intendenti.—
Parri della Quercia sorrise e ringraziò con un cenno del capo.
–Ma