I misteri del castello d'Udolfo, vol. 2. Анна Радклиф

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Название I misteri del castello d'Udolfo, vol. 2
Автор произведения Анна Радклиф
Жанр Ужасы и Мистика
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Издательство Ужасы и Мистика
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aver attraversata la Novalese, essi giunsero verso sera all'antica e piccola città di Susa, che aveva altre volte chiuso il passaggio delle Alpi nel Piemonte. Dopo l'invenzione dell'artiglieria, le alture che la dominano ne hanno rese inutili le fortificazioni; ma, al chiaro della luna, quelle alture pittoresche, la città sottoposta, le sue mura, le sue torri ed i lumi che ne illuminavano porzione, formavano per Emilia un quadro interessantissimo. Passarono la notte in un albergo che offriva poche risorse; ma l'appetito dei viaggiatori dava un sapore delizioso alle pietanze più grossolane, e la stanchezza assicurava il loro sonno. In cotesto luogo, Emilia intese il primo pezzo di musica italiana su territorio italiano. Seduta dopo cena vicino ad una finestrella aperta, ella osservava l'effetto del chiaro di luna sulle vette irregolari delle montagne. Si rammentò che in una notte consimile aveva riposato su d'una roccia de' Pirenei col padre e Valancourt. Intese sotto di lei i suoni armoniosi d'un violino; l'espressione di quell'istrumento, in perfetta armonia coi teneri sentimenti nei quali era immersa, la sorpresero e l'incantarono a un tempo. Cavignì, il quale si avvicinò alla finestra, sorrise della sua sorpresa.

      « Eh! eh! » le diss'egli; « voi ascolterete la medesima cosa, forse in tutti gli alberghi: dev'essere un figlio del locandiere quello che suona così, non ne dubito. »

      Emilia sempre attenta, credeva udire un artista: un canto melodioso e querulo la piombò a grado a grado nella meditazione; i motteggi di Cavignì ne la trassero sgradevolmente. Nel tempo istesso Montoni ordinò di preparare gli equipaggi di buon'ora, perchè voleva pranzare a Torino.

      La signora Montoni godeva di trovarsi alfine in una strada piana: raccontò lungamente tutti i timori provati, obliando senza dubbio che ne faceva la descrizione ai compagni dei suoi pericoli; ed aggiunse che sperava presto perder di vista quelle orribili montagne. « Per tutto l'oro del mondo, » diss'ella, « non farei un'altra volta l'istesso viaggio. » Si lamentò di stanchezza, e si ritirò di buon'ora. Emilia fece altrettanto, ed intese da Annetta, la cameriera di sua zia, che Cavignì non erasi ingannato a proposito del suonatore di violino. Era colui il figlio di un contadino abitante nella valle vicina, che andava a passare il carnevale a Venezia, e ch'era creduto molto amabile. « Quanto a me, » disse Annetta, « preferirei vivere in queste boscaglie, e su queste belle colline, che andare in una città. Si dice che noi non vedremo più nè boschi, nè montagne, nè prati, e che Venezia è fabbricata in mezzo al mare. »

      Emilia convenne con Annetta, che quel giovane perdeva molto nel cambio, poichè lasciava l'innocenza e la bellezza campestre, per la voluttà di una città corrotta.

      Quando fu sola, non potè dormire. L'incontro di Valancourt, e le circostanze della loro separazione, non cessarono di occupare il suo spirito, ritracciandole il quadro di un'unione fortunata in seno della natura, e della felicità dalla quale temeva d'essere lontana per sempre.

      CAPITOLO XV

      Il giorno seguente, di buonissim'ora, i viaggiatori partirono per Torino. La ricca pianura che si estende dalle Alpi a quella magnifica città, non era allora, come adesso, ombreggiata da grossi alberi. Piantagioni d'ulivi, di gelsi, di fichi, frammiste di viti, formavano un magnifico paesaggio, traverso il quale l'impetuoso Eridano si slancia dalle montagne, e si unisce a Torino colle acque dell'umile Dora. A misura che i viaggiatori avanzavano, le Alpi prendevano ai loro sguardi tutta la maestà del loro aspetto. Le giogaje s'innalzavano le une sopra le altre in una lunga successione. Le cime più alte, coperte di nubi, si perdevano qualche volta nelle loro ondulazioni, e spesso slanciavansi di sopra ad esse. Le falde di que' monti, le cui irregolari cavità presentavano ogni sorta di forme, tingevansi di porpora e di azzurro al movimento della luce e delle ombre, variando ad ogni istante la scena. A levante si spiegavano le pianure di Lombardia; scoprivansi già le torri di Torino, e, in maggior distanza, gli Appennini circoscrivevano un immenso orizzonte.

      La magnificenza di quella città, la vista delle sue chiese, dei suoi palagi e delle grandiose piazze, oltrepassavano non solo tutto ciò che Emilia avea veduto in Francia, ma tutto quello ancora che si era immaginato.

      Montoni, il quale conosceva già Torino, e non n'era sorpreso, non cedè alle preghiere della consorte, che avrebbe desiderato vedere qualche palazzo; non si fermò che il tempo necessario per riposarsi, e si affrettò di partir per Venezia. Durante il viaggio, egli si mostrò altiero e riservatissimo, specialmente colla moglie; ma questa riserva però era meno quella del rispetto che dell'orgoglio e del malcontento. Si occupava pochissimo di Emilia. I suoi discorsi con Cavignì avevano sempre per soggetto la guerra o la politica, che lo stato convulsivo d'Italia rendeva allora molto interessanti. Emilia osservava che, nel raccontare qualche fatto illustre, gli occhi di Montoni perdevano la loro fosca durezza, e sembravan brillare di gioia. Sebbene ella dubitar potesse talvolta che questo istantaneo cambiamento fosse piuttosto l'effetto della malizia, che la prova del valore, pure questo pareva convenir molto bene al di lui carattere, e alle sue maniere superbe e cavalleresche; e Cavignì, con tutta la sua disinvoltura e buona grazia, non era in grado di stargli a confronto.

      Entrando nel Milanese, lasciarono il loro cappello alla francese pel berretto italiano scarlatto, ricamato in oro. Emilia fu sorpresa nel vedere Montoni aggiungervi il pennacchio militare, e Cavignì contentarsi delle piume che vi si portavano di solito. Credè finalmente che Montoni prendesse l'equipaggio soldatesco per traversar con più sicurezza una contrada inondata di truppe, e saccheggiata da tutti i partiti. Si vedeva in quelle feraci pianure la devastazione della guerra. Laddove le terre non restavano incolte, si riconoscevano le tracce della rapina. Le viti erano strappate dagli alberi che dovevano sostenerle; le olive giacevano calpestate; i boschetti di gelsi erano stati tagliati per accenderne il fuoco devastatore de' casali e dei villaggi. Emilia volse gli sguardi, sospirando, a settentrione, sulle Alpi Elvetiche: le loro solitudini severe parevano essere il sicuro asilo degli infelici perseguitati.

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