Название | Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III |
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Автор произведения | Botta Carlo |
Жанр | Зарубежная классика |
Серия | |
Издательство | Зарубежная классика |
Год выпуска | 0 |
isbn |
Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III
LIBRO DECIMO
Pensieri di Buonaparte dopo le sue vittorie contro Alvinzi. L'Austria manda nuove genti in Italia sotto la condotta dell'arciduca Carlo. Qualità comparative di Buonaparte e dell'arciduca, e lor modo di guerreggiare. S'incomincia una nuova guerra. Contrasto dei due generali emoli al Tagliamento, e passo di questo fiume eseguito dai repubblicani. L'arciduca si ritira cauto e rannodato. Sollevazioni dei popoli del Tirolo a favore dell'Austria: Joubert in pericolo; si ritira, secondo gli ordini di Buonaparte, per la valle della Drava, verso Villaco. Passi della Ponteba, e di Tarvisio. Speranze dell'arciduca di vincere a Tarvisio: gli vengono rotte dall'insufficiente difesa fattavi da un suo generale. I Francesi entrano vittoriosi in Villaco, Lubiana, e Clagenfurt. L'arciduca si ritira ai passi più montuosi a difesa della metropoli dell'Austria. Modo diverso di guerreggiare dei Francesi e degli Austriaci; e perchè i primi avessero il vantaggio. Buonaparte in qualche pericolo: pure a Vienna prevale la parte della pace; arrivano plenipotenziari al campo Francese; tregua, e preliminari di Leoben. Buonaparte fatto sicuro dell'Austria si volta contro la repubblica di Venezia; opera rivoluzioni nella terraferma Veneta per aver occasione di darla all'Austria. Rivoluzioni di Bergamo, Brescia, e Crema. Insidie contro Verona. Manifesto supposto del provveditor Battaglia. Minacce rabbiose di Buonaparte contro Venezia: pacata, e grave risposta del doge. Terribile sollevazione di Verona, chiamata le Pasque Veronesi, sue cagioni, ed effetti. Predicazioni singolari di un frate cappuccino. Verona soggiogata, e come trattata. Buonaparte dichiara formalmente la guerra a Venezia. Insidie tese per fare, che il maggior consiglio riformi l'antica constituzione. Il senato non è propenso a questa innovazione. Consulta particolare, ed insolita in casa del doge. Il maggior consiglio autorizza i tre legati della repubblica mandati a Buonaparte a consentire la riforma degli ordini antichi con introduzione di qualche forma democratica. Minacce di Buonaparte al patrizio Giustiniani, e generose risposte di questo. Macchinazioni in Venezia; nuove insidie contro di lei. I patrizi spaventati, e adunati in maggior consiglio rinunziano alla sovranità, e consentono al governo democratico; il che fu in quel punto la ruina dell'antichissima repubblica. Trattato sottoscritto in Milano il dì sedici maggio tra Buonaparte, ed i legati Veneziani. Rivoluzione totale in Venezia, e nella terraferma.
Due pensieri operavano massimamente a questo tempo nella mente di Buonaparte, securo omai di poter fare, o buon grado o mal grado del suo governo, ciò che più volesse. Siccome la fortuna tanto se gli era dimostrata prospera, così intendimento suo era, posti in non cale i pensieri del re di Sardegna, di creare un nuovo stato in Lombardia, acciocchè egli fosse della sua potenza, e del suo nome testimonio perpetuo. Ma il direttorio, che aveva anche capriccio in questo nuovo stato, desiderava tuttavia temporeggiarsi pel desiderio che aveva della pace con l'imperatore. Così il capitano della repubblica andava continuamente moltiplicando in Milano i segni del voler sottrarre dal dominio dell'Austria il paese per crearne una repubblica, mentre i deputati Milanesi mandati a Parigi per pregare libertà, riportavano dal direttorio solamente parole grate senza effetti. Si proponeva oltre a ciò Buonaparte, solito a fabbricare ne' suoi concetti grandissimi disegni, tostochè si diminuisse l'asprezza della stagione, di varcare con tutto l'esercito le Alpi Giulie, e di far sentire le sue armi nel cuore della Germania, a fine di obbligare l'imperatore alla pace, pensiero, che già aveva concetto fin dai tempi delle sue prime vittorie in Italia, e che solo era stato interrotto dall'incredibile costanza dell'Austria nel sostituire nuovi eserciti ad eserciti vecchi. Confortavano massimamente questa sua deliberazione la singolarità, e la grandezza dell'impresa non più tentata dai Francesi dal secolo di Carlomagno in poi, l'avere a cimentarsi con l'arciduca Carlo, fratello dell'imperatore, che aveva recentemente combattuto vittoriosamente le armi repubblicane sulle sponde del Meno e del Reno, e che era stato preposto, come ultima speranza, all'esercito Italico; il fare finalmente quello, dall'Italia venendo, che non avevano potuto fare Moreau e Jourdan, che avevano guerreggiato sulle terre stesse dell'Alemagna; perciocchè o l'imperatore Francesco, sbigottito a quel suono tanto insolito dei Francesi nel cuore degli stati ereditari avrebbe consentito agli accordi, ed in tale caso acquistava Buonaparte un segnalato favore in Francia; ovvero il sovrano Alemanno si ostinava nel voler usare le armi, ed in tale caso il capitano di Francia distendeva i suoi pensieri sino all'occupazione di Vienna, impresa anch'essa, che avrebbe fatto il suo nome immortale. In questo poi era suo intento di affrettarsi, sì perchè, credendo di poter fare da se, non voleva che Moreau, calandosi per le rive del Danubio, lo ajutasse, e sì perchè aveva a cuore di assaltare l'arciduca innanzi che le genti di nuova leva, che già marciavano, avessero ingrossato le reliquie dei vinti. A condurre a fine queste fazioni due cose principalmente abbisognavano, l'una il non lasciarsi nissun sospetto alle spalle, l'altra il procacciarsi maggiori compensi a dare all'imperatore, se questi fosse obbligato a rinunziare alla Lombardia. L'uno e l'altro fine conseguiva col far rivoluzione nei paesi Veneti.
Con questi pensieri si accostava Buonaparte alla guerra d'Alemagna. Reggeva cinquantamila soldati fioritissimi, e veterani tutti dell'esercito Italico, ed a questi si erano congiunti ventimila venuti dal Reno sotto la condotta di Bernadotte. Gli aveva per tal modo distribuiti nelle stanze, che l'ala sua sinistra governata da Joubert e grossa di più di ventimila soldati molto agguerriti, guardava i passi del Tirolo sulla sponda sinistra del Lavisio oltre al Trento, distendendosi da una parte sino ai fonti dell'Adda verso Bormio, dall'altra sino a quei della Brenta. La mezza schiera condotta da Massena alloggiava Bassano; l'ala destra, alla quale presiedeva Buonaparte stesso, e che aveva un novero di trentamila soldati, alloggiava nel Trivigiano sino alle rive della Piave. Così con le tre schiere sovrastava Buonaparte ai tre passi, che dall'Italia danno l'adito all'Alemagna, primamente a quello, che da Bolzano dà, a traverso del monte Brenner, verso Inspruck, passo aspro e difficile; secondamente a quello, che dalla Ponteba pei fonti del Tagliamento, e per Tarvisio si apre verso Villaco; finalmente al terzo, che per cammino più facile e più diritto porta da Gorizia a Clagenfurt, a Gratz, ed a Vienna. Ma intenzione di Buonaparte era, poichè inoltrandosi verso Vienna aveva bisogno di tutte le sue forze, che Massena, occupati prima Feltre e Belluno sulla Piave, s'impadronisse del passo della Chiusa, e giunto per tal via nella superior valle del Tagliamento viaggiasse per Ponteba e Tarvisio alla volta di Villaco. Nè ciò bastando al suo disegno, aveva ordinato a Joubert, che ove si fosse fatto padrone di Bolzano e di Brissio, non istesse più a camminare oltre alla volta d'Inspruck, ma che anzi, vinti i Tedeschi, e voltandosi a destra marciasse per Bruneca, e Toblaco a Linzo sulle rive della Drava, e per tal modo accostasse le sue genti a Villaco ed a Clagenfurt. Per tale guisa, rotta tutta la fronte degli Austriaci, ed adunate tutte le sue genti sulla strada maestra per a Vienna, sperava, che tra la forza ed il tenore, gli sarebbe venuto fatto o di costringere alla pace l'imperatore, o di conquistare la metropoli dell'Austria. Dava nuovo incentivo a questi pensieri il sapere, che una parte forte in Vienna, fino negl'imperiali consigli, inclinava alla pace, la quale parte più efficacemente operando, quando più fosse imminente il pericolo, avrebbe fatto che l'opinione sua restasse superiore. Questa parte era ajutata dai ministri di Spagna e di Napoli, che speravano, per mezzo della pace coll'imperatore, veder vantaggiata la condizione dei sovrani loro. Mescolavansi in questo maneggio donne di alto legnaggio, alle quali piaceva o l'ambizione d'intromettersi nelle faccende di stato, o le parole di libertà, o la gloria di Buonaparte. Tutti questi umori e diligentemente saputi, e studiosamente nutriti dai repubblicani, erano i fondamenti principali a cui si appoggiavano le speranze del direttorio, quando mandava Clarke a trattare gli accordi in Italia. A loro si opponeva per la rettitudine dell'animo suo l'imperator Francesco. Opponevasi ancora, e molto gagliardamente Thugut ministro, o che inclinasse alla parte d'Inghilterra, come pubblicavano i repubblicani, o che credesse, come è più verisimile, che la pace fosse più pericolosa della guerra. Per cagione di questo era Thugut divenuto segno di ogni più vile ingiuria nelle gazzette repubblicane di Francia; nè Buonaparte si ristava, solito a vituperare chi meglio serviva alla patria, che a lui. Mandava anche bandi agli Ungari, affinchè si ribellassero contro la casa d'Austria, e si vendicassero in libertà. Così mescolando le seduzioni alle armi, e le armi alle seduzioni, e niuna cosa santa ed inviolata avendo, s'incamminava a sconvolgere la monarchia d'Austria, e il mondo.
Animava i suoi soldati per fargli star saldi alle nuove pruove: badassero, diceva, che già avevano vinto quattordici campali battaglie, settanta minori, preso più di cento mila prigionieri, conquistato cinquecento cannoni leggieri, due mila grossi, piatte per quattro ponti, si ricordassero, avere senza spesa del