Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4. Botta Carlo

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Название Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 4
Автор произведения Botta Carlo
Жанр Историческая литература
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Издательство Историческая литература
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del ponte. Poco poscia assicurarono a sè stessi un altro passo inferiore, ed inondarono il paese posto sulla sinistra del fiume, e principalmente il distretto di San Tommaso. In cotal modo fu intrachiusa la sola via, che rimasta era agli assediati a poter comunicare colla contrada, e la città si trovò intieramente, e da ogni banda investita. La guernigione, siccome non troppo gagliarda, non fe' nissun motivo per impedire queste fazioni. Solo si attentarono ad affortificarsi su di una punta della sinistra riva del fiume, che chiamano la punta di Lamprey. Ma, ingrossatisi gl'Inglesi per nuovi rinforzi mandati da Clinton sulla riva medesima, ed arrivato il conte di Cornwallis a pigliare il governo di tutte queste genti, gli Americani quel nuovo posto abbandonarono tostamente. Foraggiavano gl'Inglesi alla libera, impedivano le adunate delle milizie, ed i soccorsi alla città. Pochi giorni dopo Tarleton recatosi con incredibile celerità sulle rive del fiume Santee, sopraffece, e mandò in rotta un'altra presa di cavalieri repubblicani, ivi raccoltisi sotto la guida del colonnello Buford. Armi, cavalli, e munizioni, tutto venne in balìa dei vincitori. Nè a queste cose si arrestò l'avversa fortuna dei repubblicani. Venuto l'ammiraglio Arbuthnot sopra l'Isola Sullivan, vi sbarcò una mano di marinari, uomini valentissimi. Incominciò a stringere il Forte Moultrie, ed avuto diligente contezza delle mura e del presidio, si apparecchiava a dargli l'assalto dalla parte di ponente e di maestro, dov'erano più deboli le difese. Quei di dentro, perduta ogni speranza di soccorso, essendo gl'Inglesi padroni del mare, ed essi troppo deboli a poter resistere, si arrenderono il dì sette di maggio. Così il forte Moultrie, che, allora faceva quattro anni, aveva sgarato con grandissimo danno tutte le forze dell'ammiraglio Hyde-Parker, ora, rivoltatasi la fortuna della guerra, venne di queto in poter dei reali.

      Intanto fattisi avanti cogli approcci avevano questi condotto a termine la terza circonvallazione molto, vicina al canale da noi sopraddescritto, e tanto lavorarono colle zappe, che pervenuti a destra nella palude, dalla quale l'acqua era derivata, e, svoltala, la seccarono. Alzarono poi poco stante le batterie su quest'ultima circonvallazione, e compirono le traverse e gli altri cunicoli di comunicazione. Cinta in tal modo d'ogni intorno la piazza, e gli assedianti in atto di piovervi dentro le palle e le bombe, intimava Clinton la resa a Lincoln. Si appiccava una pratica d'accordo; ma pretendendo l'Americano, che non solo le milizie ed i cittadini fossero franchi e liberi delle loro persone, ma ancora che le proprietà loro vendere e trasportare, ove meglio piacesse loro, potessero, le quali condizioni ricusava l'Inglese di concedere, volendo, che si arrendessero tutti a prigionieri di guerra, ed in rispetto alle proprietà a null'altro volendo consentire, se non se che le soldatesche nolle avrebbero manomesse, si ruppe tosto la pratica, e si ricominciarono le ostilità. Le palle intronavano le mura; le bombe e le carcasse, che si crollavano in grandissima copia dentro la città, rovinavano ed accendevano gli edifizj; ed i tiratori essiani in ciò molto destri, cogli archibusi rigati imberciavano tutti coloro, che alle cannoniere, od altrove si affacciavano. Niuna cosa rimaneva a quei di dentro libera e sicura. Tutto annunziava appropinquarsi la necessità della dedizione. Già si rallentavano i tiri degli assediati, imboccate le artiglierie loro, fracassati i carretti, morti gli artiglieri, e gl'Inglesi spintisi avanti colle zappe avevano sboccato nel fosso a pochi passi distante dalle mura. Minacciavano di assalto la misera città. Già dentro appariva principio di discordia civile, perciocchè i cittadini, parte timidi, parte leali, incominciavano a romoreggiare. Pregavano, scongiuravano Lincoln, non volesse vedere l'estremo sterminio di quella diletta stanza loro, di quella sì ricca e sì nobile città. Si arrendesse, accettasse le condizioni. Già mancare la panatica; gl'ingegneri aver dichiarato, non potersi sostenere l'assalto; nissuno spiraglio di salute discoprirsi da nissuna banda. In così terribile congiuntura, deposta la natural sua durezza, piegò Lincoln finalmente l'animo all'arrendersi, ed ai dodici del mese di maggio si fermò la capitolazione. Uscissero i soldati del presidio con alcuni degli onori della guerra, e giunti al luogo, tramezzo le mura ed il canale, ivi deponessero le armi; le casse non battessero; le insegne fossero piegate; ritenessero gli stanziali ed i marinari le bagaglie loro, e rimanessero prigionieri di guerra sino agli scambj; le cerne se ne tornassero alle case loro, dando la fede di non portar le armi contro le genti regie; la quale sintantochè serbassero, non potessero venir molestate nè nella roba nè nelle persone; i cittadini parimente di qualunque ordine si riputassero sulla fede loro prigionieri di guerra; le proprietà loro conservassero colle medesime condizioni, che le cerne; gli uffiziali ritenessero i loro servi, le armi e le bagaglie non isvaligiate; avesse Lincoln facoltà d'inviare una nave a posta con ispacci a Filadelfia. In cotal modo dopo un assedio di quaranta giorni venne la città capitale della Carolina Meridionale in mano dei reali. Sette generali, dieci reggimenti di stanziali, ma però molto diradati, e tre battaglioni di artiglieria diventati prigionieri fecero conspicua la vittoria degl'Inglesi. Il numero dei prigioni, incluse le milizie ed i marinari, tanto americani che francesi, arrivarono a meglio di seimila persone. Quattrocento bocche da fuoco di diversa sorta e grandezza caddero in poter dei vincitori con una quantità non ordinaria di polvere, di palle, di bombe e di scaglia. Tre grosse fregate americane, ed una francese con altri legni di minor grandezza accrebbero l'importanza della vittoria. La perdita dei morti e dei feriti fu di poco momento da ambe le parti. I Caroliniani agramente si dolsero dei loro vicini massimamente dei Virginiani, perchè non avessero porto loro quegli aiuti, che avrebbero potuto. Fu Lincoln molto, e molto diversamente ripreso del modo, col quale ei governò tutta questa fazione. Lo biasimarono alcuni dell'essersi rinchiuso dentro le mura di una Terra grande e male riparabile, invece di osteggiare alla campagna. Affermarono, che se questo secondo partito seguitato avesse, avrebbe potuto conservare alla lega un esercito notabile, e le più fertili terre della provincia. Mantennero, che sarebbe stato meglio con agguati, con iscappate, con aggirate, con opportuni assalti stancare, e consumar l'inimico; poco esser difendevoli le mura di Charlestown; le genti poche a tanto circuito; diverso modo da questo, e con molta utilità della patria aver tenuto Washington, quando antepose alla perdita dell'esercito quella dell'Isola della Nuova-Jork, e della città stessa di Filadelfia. Delle quali cose si può credere, che certamente sarebbe stato miglior consiglio, temporeggiando in sulle difese, straccar l'inimico sulla campagna. Ma della contraria deliberazione di Lincoln non egli dee venir accagionato, ma sibbene il congresso e gli Stati provinciali vicini, i quali nell'approssimarsi del pericolo quegli aiuti promisero, che poi non mandarono. Altri lo condannarono per non aver votato la città, quando tuttora erano aperte le vie sulla sinistra sponda del Cooper. Della quale risoluzione fu causa, prima questa stessa speranza degli aiuti; poscia, quando dopo la vittoria di Monk's-corner gl'Inglesi avevano inondato le terre poste tra il Cooper e la Santee, il timore di esser sopraffatto da forze superiori, massimamente cavalli, e la ripugnanza al lasciare la città a discrezione in mano del nemico. Avuta Clinton la possessione della città capitale della Carolina, vi si assicurava dentro con buoni ordini civili e militari, e, assettata questa, volgeva l'animo a racconciar la provincia, nella quale già ogni cosa piegava a divozione dell'esercito vincitore.

      Divisava egli, e mandava ad effetto tre spedizioni; perciocchè non voleva nè lasciar freddare i suoi, nè respirar il nemico; l'una verso il fiume Savanna nella Giorgia, l'altra a Ninetysix al di là del fiume Saluda, queste due per far levar in capo i leali molto abbondanti in quei luoghi; la terza per disperdere affatto le reliquie delle bande americane, le quali tuttavia andavano ronzando tra il Cooper e la Santee, e principalmente per rompere una testa di repubblicani, che sotto la condotta del colonnello Buford si ritiravano a gran giornate dalla Carolina. Ebbero tutte e tre felice fine. Accorrevano da ogni banda gli abitatori verso le genti regie, dichiarando di voler all'antica leanza ritornare, ed offerendosi di voler armata mano difendere e sostenere la causa del Re. Molti si affoltavano per le stesse cagioni e fini nella città stessa di Charlestown, a ciò ancora invitati da un bando mandato fuori da Clinton. Il conte di Cornwallis, spazzate le rive del Cooper, e varcata la Santee, s'impadroniva di Georgetown. Sì grand'era lo zelo dei popoli, o vero o simulato pel Re, ed il desiderio, parte per paura, parte per amore di gratuirsi il vincitore, che non contenti al venire essi stessi, conducevano anco prigioni seco loro quei libertini, che potevano aver fra le mani, ai quali poco prima con tanta prontezza obbedito avevano, e che ora col nome di oppressori appellavano. Intanto Buford colla sua schiera già si era assai dilungato, ed era assai difficile impresa quella di raggiungerlo. Ma Tarleton si offeriva pronto, e dava speranza di trarla a buon fine. Cornwallis gli concedè a tal uopo una buona frotta di cavalleggieri, ed un centinaio di fanti montati in groppa. Camminando egli con grandissima celerità arrivò il giorno 28 maggio a Cambden, dove ricevè le novelle, che Buford era partito il dì precedente