Il ponte del paradiso: racconto. Barrili Anton Giulio

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Название Il ponte del paradiso: racconto
Автор произведения Barrili Anton Giulio
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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le signore avessero creduto di prendere ipoteca su lui; e d'altra parte, come sappiamo, la signora Eleonora stava sempre un pochino in sussiego, facendo meno parole che le fosse possibile. Pareva orgogliosa, con quella sua aria e con quella sua andatura intirizzita. Nel fatto era una creatura di mediocre istruzione, ma di grande buon senso; e taceva molto, temendo sempre di dir qualche cosa che non fosse a punto e virgola. Donna rara!

      Occupatissimo al suo banco in quella fin d'anno, Raimondo Zuliani non aveva chiesto, nelle sue rare e brevi apparizioni al Danieli, se l'amico Aldini fosse assiduo al suo ufficio di cicerone. Si meravigliò forte quando sentì finalmente che non si lasciava veder troppo. Oh, ma ci avrebbe messo buon ordine lui. Perciò quell'alzata d'ingegno del brindisi; e l'aveva rinfrancata con altri argomenti, scendendo le scale del palazzo Orseolo, per accompagnar le signore Cantelli fino all'imbarco. Là, alla svolta d'un pianerottolo, prendendo pel braccio il suo Pilade, gli aveva bisbigliato all'orecchio:

      – Senti, o la sposi, o non ti conosco più per amico. —

       IV.

      Batti il ferro mentre è caldo

      Alla signora Zuliani accadde di respirare più liberamente, quando l'ultimo de' suoi convitati ebbe preso congedo. Anche quella noia era dunque passata, e bisognava renderne grazie al cielo. Le restava, nel ritirarsi ai dolci riposi, una piccola curiosità, tutta femminile; sapere che cosa mulinasse Raimondo, con quelle sue tenerezze per le signore Cantelli. Aveva egli bisogno di entrar maggiormente in grazia al collega di Milano, per agevolarsi qualche grossa operazione bancaria con lui? Non era da crederlo. Raimondo si sentiva forte abbastanza da spiccare ogni volo più ardito; non era più nella condizione di cinque o sei anni addietro, quando aveva passato quel brutto quarto d'ora a cui per l'appunto egli si riferiva due giorni prima discorrendo con lei. Si trattava dunque d'un sentimento di gratitudine? Forse sì, quantunque paresse un po' spinto; fors'anche era da vederci il proposito di compensare la freddezza di sua moglie verso quelle care viaggiatrici, che volevano metter le barbe a Venezia. Altro, del resto, non c'era, non ci poteva essere; e se fosse stato, bisognava riderne, come d'un sogno ad occhi aperti. Quel brindisi, veramente, avrebbe potuto dar da pensare. Ma infine, la curiosa manìa di ammogliare l'universo mondo era antica nel suo signore e padrone: quante volte, infatti, non gli era accaduto di prodigar consigli ed esortazioni di quel genere a chi mostrava di non volerne approfittare? Quella notte la esortazione era stata più calda; ma che cosa non fa un bicchiere di più, tracannato in allegra compagnia? e in particolar modo di Sciampagna, che è vino tenero, se altro fu mai, e singolarmente propizio alle effusioni dell'anima?

      Quanto a Raimondo, egli sapeva bene una cosa; che la sua Livia non poteva soffrir le Cantelli.

      Ma perchè? Non riusciva ad intenderlo. Margherita era una così buona e cara fanciulla! Che ci fosse per avventura da vedere un pochino di quella gelosia naturale, irriflessiva, involontaria, che nasce così spesso tra donne? Ma la sua Livia avrebbe avuto un gran torto a provarne la più lieve puntura; lei così bella, e d'un altro genere di bellezza, fine, delicata, aristocratica al sommo. Quando ella appariva nel suo palchetto alla Fenice, o nella sala dei concerti al Liceo Marcello, l'accoglieva sempre quel fremito d'ammirazione che dice ad una bella assai più di cento sonetti e di mille madrigali. Ma che gelosia d'Egitto! Non era da pensarci neanche. Piuttosto l'antipatia per la vecchia? Ma quella era una povera donna, contegnosa senza saperlo, intirizzita senza volerlo. E poi, che noia le davano, alla sua Livia, due visitine a tempo e luogo, con qualche invito a pranzo, o a teatro? Non dovevano poi far vita insieme. Così l'aveva sopportata il marito, e per un quarto di secolo oramai, quella contegnosa e taciturna signora: non poteva sopportarla lei per uno o due mesi?

      Comunque fosse, dopo averci pensato più lungamente che non portasse il bisogno, Raimondo scosse il capo e le spalle; segno che voleva gittare un carico importuno ed inutile. E tacque delle signore Cantelli a colazione, e ne tacque a pranzo; tacque soprattutto, poichè l'argomento non sarebbe piaciuto, tacque di essere stato poco prima al Danieli per ringraziar le signore una volta ancora, e di aver fatto, contro l'uso suo, una visita lunga.

      Venne la sera, e Raimondo offerse alla sua Livia di accompagnarla a teatro. Ma ella si sentiva ancora un po' stanca della notte perduta; cinque ore di sonno in giornata non erano state riparatrici abbastanza; lo specchio, poi debitamente interrogato, le aveva fatto scorgere un po' di livido intorno ai begli occhi glauchi, e tra gli occhi e le guance due pieghettine, due cose da nulla, ma ad ogni modo, e comunque attenuate da cortesi eufemismi, due borse. Piccolo guaio delle bionde, che sogliono avere la pelle più tenera. Si vedrà? Non si vedrà? Nel dubbio, la bella bionda si astiene.

      Raimondo uscì, per far quattro passi: un'ora dopo era già di ritorno, con un fascio di giornali, che prese a leggere, facendone parte di tanto in tanto a sua moglie; per le notizie d'arte e di cronaca, s'intende, che la politica non era nelle grazie della bella signora.

      – Strano! – diss'ella in un momento di sosta del suo cortese lettore. – Il tuo signor Filippo non si lascia vedere da noi, nel primo giorno dell'anno nuovo.

      – O come? – esclamò Raimondo. – Non c'era stamane, avendo cominciato l'anno da noi? Del resto, ricordo di aver ricevuto un suo biglietto di scusa, e di scusa legittima. —

      Così dicendo, trasse di tasca una lettera e la pose sulla tavola, davanti a sua moglie. Livia la prese, dopo alcuni minuti secondi; l'aperse con atto lento e svogliato; finalmente la lesse. Erano pochi versi di scritto e dicevano così:

      “Caro Raimondo.

      “Vorrei venire oggi al tuo banco, per darti ancora un saluto; ma ho un gran sonno, un gran sonno. Chiederai perchè io non abbia dormito stamane appena arrivato a casa. La rea cagione è questa, che ho trovato a casa un telegramma da Verona, un telegramma di due vecchi amici, di due commilitoni, che mi annunziavano la loro venuta, e per l'appunto in giornata, volendo passare a Venezia tre o quattro giorni della loro licenza. Li ho sulle braccia, e mi è toccato dar ordini per preparar loro l'alloggio nel mio modesto quartierino. Stasera debbo andarli ad aspettare alla stazione; per intanto vo a letto, che l'ho ben guadagnato. Di tutto cuore, addio; ossequj ed augurj senza fine alla tua Signora.

Filippo.„

      Il biglietto dell'Aldini, così innocente nella sua semplicità, aveva già seccato non poco Raimondo Zuliani. Quei due amici, e vecchi commilitoni, proprio non ci volevano; guastavano infatti, o potevano guastare tutti i disegni ch'egli aveva formati in quei giorni. Con due vecchi commilitoni sulle braccia, ed ospiti per giunta, come sarebbe riuscito Filippo a far la sua corte? Ed era urgente di farla; bisognava battere il ferro mentre era caldo. A farlo a posta, quel caro Filippo era un così strano ragazzo! Aveva preso fuoco e levata come si suol dire la fiamma; poi giù tutto ad un tratto, come se fosse stato un fuoco di paglia. Strano ragazzo! Ma occorreva avere senno per lui.

      – E così, vedi, non ha potuto venire; – disse Raimondo, poi che sua moglie ebbe deposta la lettera. – Ci ha ospiti.

      – Peccato! – esclamò la signora. – Appunto per questa sera gli si sarebbe potuta dare la chiave del palco, per poterli condurre alla Fenice.

      – Un palco di seconda fila, per uomini, eh, via! – osservò Raimondo. – Non l'hai voluto mai cedere per le signore Cantelli!..

      – Oh, quelle son ricche, e possono provvedersi.

      – Pazzerella! Quando hai qualcheduno in uggia!..

      – Ma che! ora tu esageri, secondo l'uso; – notò la signora. – Di' piuttosto che non sento il bisogno di buttarmi nelle loro braccia. La signora Eleonora, con quella sua mutria, per esempio, non è proprio fatta per attirarmici. —

      Raimondo sorrise a sua moglie, e un pochettino anche a sè.

      – Dicevo bene, – pensò egli, – che non era per la figliuola. Ma quella povera signora Eleonora, com'è mal giudicata da mia moglie! Con tutto il suo sussiego apparente, è la miglior pasta di donna che si possa immaginare. E se Livia sapesse ancora… Ma acqua in bocca per ora, ed ogni cosa al suo tempo. —

      Quella sera la signora Livia si ritirò presto nelle sue stanze. Il ricamo turco, che aveva tentato di ripigliare, le dava noia; ed anche le occorreva pensare ai suoi poveri occhi, che volevano