I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

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Название I rossi e i neri, vol. 1
Автор произведения Barrili Anton Giulio
Жанр Зарубежная классика
Серия
Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
isbn http://www.gutenberg.org/ebooks/29845



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di dire al marchese di Montalto quelle innocenti parole che voi sapete…

      – Io! non so nulla, signora contessa; – interruppe candidamente Lorenzo Salvani. – Il nome della signora mascherata non fu pronunziato da alcuno, ed io non chiesi nemmeno quali parole avessero dato appiglio alla contesa tra il Collini e Aloise di Montalto.

      – Oh, mi fate respirare! – soggiunse la contessa. – Appunto a voi, cortese e leale come oggi vi conosco, ma come fin dall'altro giorno vi avevano decantato i padrini del vostro avversario, volevo chiedere se il mio nome fosse stato messo fuori. A voi, Salvani, – (la contessa qui disse proprio Salvani, tralasciando il titolo di cerimonia) – a voi non sarà ignoto che noi, povere donne, siamo come le nostre vesti di seta o di raso; una macchiuzza, e che sarebbe invisibile sulla vostra giubba di panno nero, le guasta per modo che non hanno più nessun pregio. Ora il solo avermi nominata, sebbene io sappia di non aver detto o fatto cosa biasimevole, l'esser posto il mio nome in mezzo ad una contesa di quella fatta, che fu sciolta per giunta col sangue, mi avrebbe cagionato un rammarico da non dirsi. —

      Questo discorso fu fatto con piglio modesto dalla contessa, in quella che i suoi occhi non si dipartivano dal volto di Lorenzo, quasi interrogando i pensieri che gli passavano per la mente. Ed ebbe a rallegrarsi della sua attenzione, perchè Lorenzo aveva seguito con manifesta ansietà il racconto e si leggeva ne' suoi occhi come fosse contento di sapere che il Collini era per lei un semplice conoscente, e null'altro.

      Quello di Lorenzo Salvani era un sentimento che tutti gli uomini conosceranno a prova. La donna che noi incominciamo ad amare non ha da essere sospettata, nè d'opere, nè di pensieri; non ha da aver fatto mai l'occhiolino ad un altro, sotto pena di scomunica. Ed ecco in qual modo si può diventar gelosi perfino del passato.

      – Ora, – proseguì la contessa Matilde, – poichè ho cominciato, vi dirò tutto. Non vi annoio, già?

      – Signora, – esclamò Lorenzo, con aria di dolce rimprovero.

      – Eh, gli è che questi discorsi non mi paiono tali da premervi molto. Comunque sia, lasciatemi dire, e ci guadagnerete questo, che mi conoscerete un po' meglio. —

      Il giovane rispose a queste parole afferrando per la seconda volta la mano della contessa, e stampandovi un bacio. Questo almeno era un modo di parlare che non si poteva togliere per un complimento, e non domandava nemmeno risposta. Matilde arrossì, sorrise malinconicamente, e senza ritrarre la mano da quelle di Lorenzo che la tenevano prigione, proseguì:

      – Al marchese di Montalto, che conoscevo come tanti altri per averlo veduto in qualche veglia, dissi poche e cortesi parole. Ma, che volete? senza badarci, anzi senza saperlo, io debbo aver toccato un tasto delicato, e me ne duole, poichè un cuore di donna intende come pungano certi dolori; e sebbene egli non s'è mostrato molto cortese nel rispondermi, io lo stimo come un giovine abbastanza diverso da tanti e tanti altri.

      – Avete ragione, – esclamò Lorenzo. – Aloise di Montalto è un vero gentiluomo. Egli a quest'ora sarà dolentissimo di essersi mostrato scortese con voi, quantunque io penso che non vi avesse conosciuta, e soltanto la presenza del Collini gli avesse inasprite le parole. Ma io lo conosco già tanto da potervi quasi affermare che, appena risanato, egli mi seguirebbe fin qui, per iscusarsi con voi.

      – No, no, Salvani! Non ve ne date pensiero; – interruppe la contessa, ridendo. – Che importa a me, finalmente? Io stimo quel signore, ed oggi anche più di prima, poichè vedo che lo stimate voi: ma in verità non reputo necessario di conoscerlo più da vicino. —

      Anche questo era un tocco maestro, e Lorenzo lo sentì, senza darsene ragione.

      Egli stette silenzioso, ed ella egualmente; ma egli, se taceva, non rifiniva però dal guardarla con que' suoi occhi languidi.

      – Or bene, – gli disse ella dopo un tratto, – che fate?

      – Signora, adesso tocca a me. Il mio discorso era rimasto a mezzo; lasciatemelo dunque finire. Mi crederete voi se vi dirò che vi amo? Mi perdonerete voi se ardirò dirvelo?

      – Signor Salvani!.. – esclamò la contessa, adombrando nella sua reticenza un timido rimprovero.

      – Signora! – ripetè egli. – Poc'anzi avevate messa da parte questa inutile parola.

      – Davvero? Ah, mi avvedo che perdiamo il capo ambedue. Siatemi invece cortese di finir l'opera vostra. Il mio disegno vi attende, perchè gli diate l'ultima mano.

      – Debbo finirlo? Vi preme tanto?

      – O che, non mi avrebbe a premere? Qual conto fate di me? Suvvia, da bravo, venite. —

      Ciò detto, la contessa Matilde si alzò e condusse Lorenzo al tavolino.

      – Ma non son buono a far nulla, – diss'egli, poichè si fu seduto dinanzi al suo bozzetto, – se voi non vi mettete da capo ad ispirarmi.

      – Intendiamoci, anzitutto! – rispose la contessa alzando l'indice con gesto leggiadro; – voi non mi direte più nulla?

      – Ve lo prometto, ma, ve ne prego, ripigliate il posto di prima. —

      La bionda contessa sorrise, e posta la mano sulla spalliera della scranna chinò il capo fin presso alla guancia del giovine, in atto di guardare i segni che gli uscivano dalla matita.

      E noi in questa positura li lasceremo ambedue, poichè ci stanno benissimo, e non si annoieranno di certo.

      X

      Di un ghiotto discorso che facevano insieme Aloise di Montalto e il Pietrasanta, innanzi di mettersi in carrozza.

      Il dottor Mattei aveva dato nel segno, commettendo la guarigione di Aloise di Montalto a quella gran medichessa che è la natura. Quindici giorni dopo il duello, Aloise era già fuori dal letto; e non solo poteva uscir di casa, ma il savio discepolo di Esculapio glielo aveva raccomandato, perchè rinfrescasse le forze all'aria aperta, usando tuttavia la precauzione di andare per le prime volte in carrozza.

      Quindici giorni in casa sono peggio che la morte, per un giovanotto; ma il poter uscire, dopo quei quindici giorni, gli è come una risurrezione.

      Il ferito aveva ricevuto in quelle due settimane moltissime visite; ma quel via vai di persone, le quali facevano tutte la stessa dimanda, non aveva certamente potuto divertirlo molto. Soltanto il Pietrasanta, co' suoi sproloquii di capo scarico, e Lorenzo Salvani, co' suoi modi schiettamente amorevoli, consolavano all'ammalato taluna di quelle lunghe ore che il tedio gli faceva centellare minuto per minuto.

      Il Salvani gli era andato proprio a' versi, tra perchè era stato suo avversario (la qual ragione parrà strana e non è) e perchè, così alla gagliarda prova dei fatti come nel tranquillo ricambio di affettuosi pensieri, ci aveva avuto agio di conoscerne i pregi. Egli pensava spesso a quel baldo giovinotto, e quasi non sapeva capacitarsi che fosse nato senza titoli di nobiltà.

      Perchè, bisogna confessare un difetto di Aloise, e i lettori non gliene facciano gran carico, essendo l'unico che avesse, e mal digesto avanzo di educazione aristocratica, anzi che matura convinzione dell'intelletto. Egli credeva ancora che i titoli natali dessero ogni maniera di virtù, come quei tali sacramenti che imprimono carattere ai buoni cattolici.

      Qual è l'uomo tra noi, il quale non abbia una o due di queste fisime in capo, mai discusse a mente tranquilla e sempre citate a guisa di assiomi! E non è a dire che manchi lo ingegno per discernere l'errore; ma gli è che certe cose, succhiate, stiamo per dire, col latte, rimangono nel cervello, come fondo di bottega, e l'occhio, avvezzo a vederle, non si ferma a discuterne il pregio.

      Ora nessuno può fare ad Aloise il torto di credere che egli, con quello ingegno che aveva, se si fosse posto a meditare un tratto su quel dirizzone, non avrebbe durato fatica a scorgere le corna del pregiudizio. Per giungere a ciò sarebbe bastato il guardarsi d'attorno, nella gente del suo ceto, e considerare se tutti i suoi pari avevano quella scienza infusa, o quella innata nobiltà di sentire che gli pareva privilegio del nome patrizio.

      Ma in fin dei conti, come si sarebbe potuto ragionevolmente domandare che Aloise facesse queste considerazioni, se lo storto concetto dell'universale