In faccia al destino. Albertazzi Adolfo

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Название In faccia al destino
Автор произведения Albertazzi Adolfo
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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andavan altri che davano a conoscere non men vive le facoltà spirituali.

      – Dopo che la mamma è guarita non provo più nessun bisogno di pregare. Come sarà? Certo non va bene!

      Questo era effetto della giovinezza ritornata del tutto lieta; ma chiedeva a me:

      – E lei non prova mai il bisogno di pregare? Mai?..

      Io sorridevo, tacendo.

      – È orribile! – Ortensia esclamava allora, dolente in modo da rivelare uno spirito passionale e profondo.

      Che sarebbe di quest'anima all'uso della vita? Tenace nella passione, a chi s'affiderebbe quest'anima? Scemando l'esuberanza della giovinezza, così impulsiva, che mutamento avverrebbe in lei? Ogni indagine mi pareva una preparazione a difenderla un giorno, e nello stesso tempo accresceva l'intima ragione del mio affetto.

      Volli sapere i suoi più grandi desideri.

      Alla domanda, dondolandosi a pena a pena nella poltrona ad arco, chinò le palpebre su gli occhi, quasi a raccogliere e a precisare una visione.

      – Viaggiare! Viaggiar molto! viaggiar sempre!

      – Perchè?

      – Oh bella! Per vedere il mondo; altri monti; pianure; città; il mare. Oh il mare!

      – Calmo…; a lume di luna… – suggerivo io.

      – E in tempesta no? Non l'ho mai visto in tempesta. Dev'essere stupendo!

      – Dalla spiaggia…

      – … Le onde bianche, il cielo nero, i lampi… Brrr! che bellezza!; ma a non esserci, là in mezzo!

      – Brava! E poi?

      – Un altro desiderio grande grande? Un bel cavallo roano… Roano o morello? Morello! con una stella bianca nella fronte!; e mi portasse via di galoppo, dove volessi io… S'intende, più giovane e più focoso di Sansone. Sa che è un bel tipo, Sansone? Cascasse il mondo, lui non si turba! Sola io riesco a farlo inquietare un po', quando non gli lascio ingoiar lo zucchero… È buono, Sansone; tanto buono!; ma con lui si va poco lontano!

      – E poi? altri desideri?

      – Mi lasci pensare…

      Invece io la prevenni:

      – Gioielli?, toilettes?, feste?, teatri?

      – Si sa! Quale è la ragazza che non le desideri, queste cose?

      – E poi? – io continuavo. – Diventar moglie d'un gran signore; magari d'un principe?

      – Uh!, non mi dispiacerebbe.

      – Ma io avrei preferito che tu dicessi: moglie d'un grand'uomo; d'un grande artista…

      – Non ci ho mai pensato!

      – Ah, dunque pensi a diventar moglie d'un principe?

      – O di chi, allora? Di Pieruccio Fulgosi?

      Fece una risata così significativa che anche a me parve di veder Pieruccio conficcato nell'alto colletto, smorto, con gli occhi imbambolati e i calzoni rimboccati.

      – Sei senza pietà con quel povero ragazzo…

      Arrossendo, Ortensia dimandò:

      – Troppo sgarbata, è vero?

      – Ierisera cosa ti disse quando gli voltasti le spalle?

      – Eh! la solita storia!; non sa dir altro.

      – Cioè?

      – Che sono bella.

      – E tu?

      – Seccatura! Io non so dirgli altro che seccatura! Se lo merita; bamboccio!

      – Però non gli dai torto del tutto quando ti dice che sei bella.

      – Per me son tutti belli, fuori che lui! È bello per me anche suo padre!

      Un'altra risata; e si levò di scatto per andar a guardarsi a una delle specchiere, che stavano alle pareti opposte della sala, quasi per togliersi un dubbio improvviso.

      – Pfu! – fece, mentre ripeteva atti soliti: rialzò i capelli sulla fronte, e interponendo la destra al colletto che le stringeva la gola, tentò allargarlo, irosa, alzando gli occhi: bellissimi per il contrasto luminoso delle pupille e dell'iride col bulbo chiaro, che lo sforzo più distingueva.

      – Però – riprese – , gli occhi di Marcella son più belli dei miei. Marcella ha gli occhi della mamma. Non sarebbe meglio fossi bruna io e bionda mia sorella? Tanto, a Guido gli sarebbe piaciuta lo stesso, e io mi piacerei di più a me!

      Io dissi, tornando in argomento:

      – Via!, consolati; chè gli artisti preferiscon le bionde. Ti daremo in moglie a un poeta.

      – No, un poeta no. Non lo voglio!

      – Perchè?

      – Perchè?.. Perchè?.. non lo so nemmen io il perchè. Un pittore, forse… un maestro di musica, celebre…

      – Perchè preferiresti uno di costoro?

      – Ma sa che è un bel tipo anche lei? Vuol sapere il perchè di tutto! Perchè? perchè? perchè?..

      Mi canzonava. Fu così travolto in riso il resto della mia indagine.

      Ortensia rideva di gusto; e se non ne trovava il motivo fuori di sè, lo trovava in sè medesima, quasi per espressione, e sfogo di giovinezza; saltando, magari, e cantando per ridere delle sue mosse e del suo canto; ma non era mai un riso sciocco. E diceva:

      – Lasciatemi ridere, ora che la mamma è guarita!

      Poi mi piantava lì, dov'ero, per correre a veder la madre.

      … Quantunque non protesse star molto in piedi, Eugenia aveva ripreso a dirigere le faccende di casa. Più brevi divennero quindi le nostre conversazioni al rezzo; più lunghi i miei colloqui con Ortensia, la quale adesso ardiva sgridarmi non solo se mi vedesse accigliato e col «sorriso brutto», ma anche se non la ubbidivo e trascuravo certe sue giuste pretese. Per diritto e dovere fraterni mi sgridava se m'impolveravo gli abiti e non attendevo abbastanza alla toilette; e spazzolandomi e riacconciandomi la cravatta, borbottava:

      – Oh che uomo! oh che uomo!

IX

      Ero certo che l'amore non aveva ancor molestato il cuore di Ortensia e che nessun corteggiatore le dava maggior pensiero di Pieruccio Fulgosi.

      La breve dimora a Milano, l'inverno, le aveva consentito la molteplice distrazione d'una grande città, ma le abitudini della famiglia l'avevano sottratta alle occasioni di conversazioni e ridotti, che son propizie agli innamoramenti.

      A Valdigorgo non vedevo chi potesse innamorarla.

      Quando le Moser passavano in paese – e fuor dei giorni festivi era assai di rado – il giovane ufficiale postale e telegrafico esponeva il capo dall'inferriata dell'ufficio; l'assistente del farmacista correva sulla soglia della bottega; i perdigiorni del caffè interrompevan la partita a carte o a bigliardo.

      – Le Moser! le Moser!

      Ma tutti costoro, e gli altri non da meno e non da più di essi, restavano come a una visione celeste e tiravan di gran sospiri: il cielo è solo per gli eletti!

      Dell'ingegner Roveni io non sospettavo affatto, perchè ero sicuro di questo: nelle poche ore che restava alla villa egli non trattava Ortensia diversamente da Marcella, cioè con confidenza disinvolta e, insieme, un po' rude.

      – Un giovane serio! – ripeteva Ortensia. Infatti, nè con lei nè con Marcella scherzava mai come con Anna Melvi; e con la Melvi, la quale lo provocava, scherzava in modo che pareva dire: «Tu cerchi di farmi cascare, ma non ci riuscirai. Sarà brava quella che ci riuscirà!»

      E rideva, con Anna, quasi per togliersi di imbarazzo, quasi per forza; in modo che – ridendo egli poco o punto con tutti gli altri – poteva parere un po' volgare. Anche ciò mi confermava nell'opinione che fosse un uomo lontano e libero da preoccupazioni sentimentali; libero