Le stragi delle Filipine. Emilio Salgari

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Название Le stragi delle Filipine
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
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malesi, un chinese ed un meticcio entravano. Tutti quattro erano cenciosi, magrissimi e portavano in volto le tracce di lunghe sofferenze. Pareva che fossero giunti di recente dai campi degli insorti, poiché le loro vesti erano ancora imbrattate di fango.

      Hang-Tu fece avvicinare il meticcio, chiedendogli:

      – Da dove vieni?…

      – Dalle rive dell’Imus, capo, – rispose il corriere.

      – Che cosa fanno gli spagnuoli?

      – Si sono accampati presso Dasmarinas e pare che puntino verso Salitran.

      – Chi li comanda?…

      – I generali Lachambre e Cornell.

      – E poi?…

      – Il generale Zabalà presta loro mano forte col mag…

      – Basta, – lo interruppe Hang-Tu, con vivacità. – Conosco l’altro. I patriotti hanno fortificato Salitran?…

      – Lo credono inespugnabile.

      – Lo sforzo del maggiore sarà contro Salitran adunque?

      – Sí, capo. Tutte le colonne convergono sull’Imus.

      Hang, con un gesto, lo invitò a ritirarsi e fece avanzare il chinese.

      – Tu vieni? – gli domandò.

      – Da Franquero.

      – È vero che quella fortezza è caduta nelle mani degli spagnuoli?

      – Il generale Jaramille l’ha espugnata il 16 febbraio.

      – Da tre giorni! – esclamò Hang, con doloroso stupore. – E gli insorti?…

      – Si ritirano sui monti combattendo.

      – Maledizione!… E Pamplona?…

      – È pure caduta, capo, – disse uno dei due malesi avanzandosi. – È stata occupata dal colonnello Barranquer dopo un vivo bombardamento che ha costato la vita ad un centinaio dei nostri.

      – Tristi notizie! – disse Hang, con un sospiro. – Ed a Bocoor che cosa si fa?…

      – Continua il bombardamento da parte della squadra spagnuola, ma i patrioti resistono sempre, – disse il secondo malese.

      – E Cavite Vieja?…

      – Tiene sempre testa agli spagnuoli.

      – Ma oggi si diceva a Binondo che le popolazioni del fiume Zarate erano state domate. È vero?…

      – Sí, capo, – risposero i due malesi, – ma gli uomini validi sono fuggiti e andranno a rinforzare le nostre bande.

      – Hang-Tu si alzò e volgendosi verso i congiurati che conservavano un religioso silenzio, malgrado quelle cattive notizie recate dai campi dell’insurrezione, disse:

      – Amici, gli oppressori stanno per darci forse un colpo mortale. Mentre Cuba resiste vittoriosamente ai reggimenti del generale Veyler sacrificando i suoi piú valorosi figli per l’indipendenza, noi che avevamo cominciato l’insurrezione con tanti successi, stiamo per essere vinti.

      «Le tigri delle isole, gli antropoidi, come ci chiamano sdegnosamente questi uomini dalla pelle bianca, non devono perire. Pensate che siamo sette milioni, mentre essi non sono che tremila e che nelle nostre vene scorre il sangue di tante valorose razze e dei piú celebri predatori dell’arcipelago.

      «Guerra a morte contro questi oppressori, contro questi orgogliosi bianchi che ci gettano in viso il loro disprezzo.

      «Trionfano oggi, ma essi tremano, perché sanno che le tigri delle isole sfidano impavide la morte. A Bataan, a Laguna, a Cavite, a Pampanga, a Bulacan, a Malabon, a Noveleta si resiste ancora e non cederemo dinanzi né ai fucili, né ai cannoni spagnuoli.

      «Conquistino pure le nostre città, ma ci rimarranno le selve e le montagne. Meglio la libertà delle fiere lassú o nei profondi recessi delle boscaglie che la schiavitú qui.

      «Organizziamoci, amici. Io vi ho condotto un uomo che darà del filo da torcere agli spagnuoli, un uomo che pel primo ha dato il segno dell’insurrezione, che conosce gli uomini bianchi meglio di me e di voi tutti uniti, che ha studiato nella lontana Europa e che è il primo martire della libertà.

      «Ruiz Romero, io capo delle associazioni del Lotus Bianco e del Giglio d’acqua e gran maestro del Tien-Tai, capo supremo degli insorti di nazionalità chinese, ti nomino capo supremo degli insorti della provincia di Cavite.

      «Giura che tu difenderai fino all’estremo le nostre fortezze contro le quali puntano tutte le forze della Spagna; giura che tu combatterai contro qualunque comandante spagnuolo fosse pure tuo amico, fosse pure tuo parente. Giuralo, Ruiz Romero: la patria lo vuole».

      – Lo giuro, – rispose il meticcio, che si sentiva come affascinato dagli sguardi ardenti del chinese che in quel momento erano fissi nei suoi.

      – Sta bene: domani partiremo per recarci a difendere Salitran prima di tutto. – Poi volgendosi verso uno dei congiurati, chiese: – È tutto pronto?…

      – Tutto, capo.

      – L’ora?…

      – Alle quattro.

      – Il luogo?…

      – Dinanzi la casa di Fang.

      – Sgombriamo prima che possano sorprenderci.

      In pochi momenti la sala sotterranea si vuotò. Non rimasero che il meticcio e Hang-Tu.

      – Sei soddisfatto, amico? – chiese questi.

      – Temo che tu abbia troppa fidanza sulle mie forze, – rispose Romero.

      – No: io ti conosco, gl’insorti tutti ti apprezzano e desideravano il nostro ritorno. Tu sei di quegli uomini che posseggono una energia straordinaria e che possono esercitare una influenza grandissima sulle masse dei combattenti. Io ti ho collocato al tuo vero posto.

      – Senza uno scopo segreto, Hang?…

      – Chissà! – rispose il chinese, mentre le sua fronte s’increspava.

      – Tu mi hai fatto nominare capo degli insorti della provincia di Cavite per allontanarmi da Teresita, è vero?…

      – La Perla di Manilla, come chiamano qui la fanciulla bianca, poteva produrre piú male col suo affetto che gli spagnuoli colle loro armi, – rispose il chinese con voce grave. – Un capo all’insurrezione mancava per riordinare le proprie forze e solamente tu potevi esserlo.

      «Perderai il cuore della fanciulla, ma forse renderai la libertà alle isole. Vedi bene, questa vale l’altro».

      Romero non rispose, ma sospirò a lungo.

      – Ti comprendo, – rispose Hang, dopo alcuni istanti di silenzio. – La Perla di Manilla ti aveva stregato e tu soffri.

      – Sí, soffro, – rispose il meticcio, quasi con rabbia. – L’amor della patria è grande, ma il cuor che sanguina è un martirio atroce, Hang.

      «Io maledico il giorno in cui i miei occhi s’incontrarono con quelli di Teresita, Hang!… Io vorrei non averla mai veduta sul mio cammino, o vorrei avere la forza di soffocare la passione nata nel mio cuore, questa fiamma che divora e che nell’esilio non si è spenta.

      «La patria, la libertà!… Io l’amo questa terra che dovrebbe ormai essere nostra e per la quale tutto ho perduto, tutto ho sacrificato, ma tu non potrai mai comprendere, Hang, quanto sia pur grande l’affetto mio per quella fanciulla figlia dei nemici nostri.

      «Orsú, si compia il mio triste destino e non se ne parli piú. La patria chiede il mio sangue, la mia vita e sia!…»

      – Tu mediti la morte, Romero? – disse Hang nella cui voce ci era una accento di commozione.

      – Che t’importa?… Credi tu che io possa essere felice, anche se tu mi hai fatto creare capo degli insorti?…

      – Le vicende della guerra spegneranno la tua passione,