— Dio!… Dio!… esclamò egli con profondo terrore. Sarebbe mai possibile che quell’uomo fosse mio rivale? Sarebbe mai possibile che egli avesse a rapirla deludendo la sorveglianza di Hassarn?… Fathma! Fathma!… che farò io abbandonato in questa spaventevole prigione, senza speranza d’aprirmi un varco, senza un’arme per tentare la fuga, solo, isolato nel mezzo delle foreste del Bahr-el-Abiad?… Ho paura, ho paura, io divento pazzo!…
Due lagrime gli solcarono le brune gote; si lasciò cadere a terra, nascose la faccia fra le mani e pianse. Le ore passarono lente, lente, ma nessun uomo scese nel sotterraneo, nè alcun rumore s’udì fuorchè gli urli della tempesta che continuava a imperversare.
Quanto tempo passò? Egli non lo seppe mai, ma probabilmente più giorni scorsero.
Aveva già perduta ogni speranza e s’era accoccolato in un angolo della prigione, fiaccato dalla fame e dalle angoscie, rassegnato a morire, quando un fischio repentino lo tolse dalla sua disperazione.
Si alzò dopo incredibili sforzi e si guardò d’attorno. Un vago chiarore trapelava da una piccola screpolatura, aperta fra le umide pareti. Vi si trascinò sotto e raccogliendo tutte le sue forze chiamò aiuto.
Udì un nuovo fischio poi una voce, quella del bandito Debbeud, gridare:
— Olà! Saltate su, che Elenka è in vista!
Abd-el-Kerim gettò un ruggito d’ira; la benda gli cadde dagli occhi, comprese tutto. Egli si slanciò come una tigre verso la fessura, ma le forze gli vennero meno e cadde a terra sfinito, coi pugni minacciosamente chiusi e la schiuma alle labbra.
Proprio in quell’istante la sorella di Notis arrivava alle ruine d’El-Garch.
CAPITOLO IX. Elenka
Elenka, chiamata la bella greca, era la più affascinante e nel medesimo tempo la più ardente creatura che potesse incontrare in tutta la regione dell’alto Egitto. Poteva avere diciott’anni a giudicarla dalle forme assai pronunciate; era di statura alta piuttosto che bassa, dalla vita flessuosa, dal portamento altero, superbo come era superba e altera nel gesto e nella parola. Aveva capelli nerissimi a riflessi metallici, che le cadevano come vellutato mantello sulle spalle, una fronte piccola come quella delle statue greche, due occhi scintillanti che parevano talvolta accendersi, ombreggiati da sopracciglia di un nero assoluto e di una regolarità perfetta, un naso insensibilmente aquilino le cui nari mobilissime, dilatavansi nelle collere e due labbra rosse come corallo che spesso aprivansi ad un sorriso strano, diabolico, ma sempre affascinante.
Appena era giunta a Chartum, due anni addietro, assieme a suo fratello Notis, reduce allora, dal Cairo, aveva fatto girare la testa a tutti gli Arabi, Egiziani e Turchi della città. Pascià, cadi, ufficiali e mercanti si erano subito messi a corteggiarla, ma strana e superba quale era, aveva disprezzato gli uni, deriso gli altri e scoraggiato in fin dei conti tutti. Uno solo fra tanti era rimasto al suo posto, irremovibile come una rupe, determinato a qualsiasi costo, ad aprire una breccia in quel cuore inaccessibile e questo uomo era l’arabo Abd-el-Kerim.
Una passione gigantesca era nata nel suo animo, passione che egli credeva non poterla spegnere nemmeno colla morte. La seguì ostinatamente per mesi, incrollabile fra gli sprezzi e le derisioni della bella greca e dei propri rivali, aspettando ansiosamente l’occasione per vibrare la prima freccia. Un giorno la dahabiad che conduceva Elenka e Qualagla si rovesciò in causa di uno scontro con un battello a vapore; Abd-el-Kerim si gettò nel fiume e salvò la greca nel momento che annegavasi.
Non ebbe nemmeno un ringraziamento, nemmeno un sorriso, anzi neppure uno sguardo; ognuno avrebbe perduto ogni speranza di conquistare quella superba creatura, ma l’arabo non si scoraggiò ancora, anzi il suo amore crebbe sempre fino a toccare la pazzia.
Una sera che Elenka tornava dal villaggio d’Undurmàn assieme al suo schiavo fu assalita da una banda di predoni Sennarèsi. Abd-el-Kerim, che come il solito la seguiva, accorse a difenderla, ammazzò mezzi assalitori e fugò gli altri. Riportò una ferita in mezzo al petto, ma che montava? La prima freccia aveva ormai colpito l’inaccessibile cuore della superba greca.
Essa cominciò ad ammirarlo, poi il suo cuore cominciò a battere con maggior violenza, scaturì una scintilla, la scintilla avvampò e scatenò un incendio.
Amò l’arabo, ma l’amò furiosamente, tremendamente tanto che per lui si sarebbe gettata anche nel fuoco e l’unione dei due cuori fu stabilita.
Sopraggiunse la guerra e Abd-el-Kerim partì col suo battaglione sotto il comando di Dhafar pascià. Elenka voleva seguirlo, le fu proibito e si rassegnò, dopo aver a lungo pianto, ad aspettare il suo ritorno. Quando Takir le portò la terribile notizia che Abd-el-Kerim s’era gettato nelle braccia di Fathma credette impazzire dalla gelosia e dal furore. Poi una sete ardente di vendetta la prese e giurò in cuor suo di dilaniare coi propri denti il cuore dell’abborrita rivale.
Partì subito anelante, furibonda, fuori di sè, quasi delirante. Non arrestò un sol minuto, neppure alla notte, fuorchè per cambiare i mahari che dilombava nelle continue e rapidissime corse e in meno di due giorni giunse in vista delle capanne di Hossanieh. I beduini vegliavano nella pianura e la condussero innanzi a El-Garch proprio nel momento che Notis svegliato di soprassalto dalla voce di Fit Debbeud, appariva sul piazzale.
Fratello e sorella, appena si scorsero si precipitarono nelle braccia l’un dell’altra, stringendosi quasi con rabbia e si guardarono mutamente per alcuni minuti con gli occhi scintillanti di collera e di gioia. I loro volti si contrassero stranamente e un sorriso feroce agitò le loro labbra.
— Vieni, Elenka, disse d’un tratto Notis, prendendola per mano.
La condusse lontana dalle tende, vicina ad una gran sfinge e la fece sedere sopra di un gigantesco tarbusch di pietra che altre volte doveva essere stato un cippo mortuario.
— Ebbene chiese Elenka con voce che sibilava fra i denti stretti.
— Abd-el-Kerim ti ha tradita, rispose Notis.
— È proprio vero adunque, che dopo di avermi tanto amata ha infranto l’amore che ci univa?
— Vero, Elenka, ti ha lasciata per correre dietro ad un’almea.
La greca s’alzò come una iena furibonda, e le sue mani si chiusero come se avessero voluto stritolare qualche cosa. Chiuse gli occhi e li riaprì più scintillanti di prima fissando in istrana guisa Notis:
— Io soffoco dall’ira e muoio di sete, ma ho sete di sangue, diss’ella con selvaggio trasporto. Dimmi dov’è questa mia rivale, ond’io vada a strapparle il cuore colle mie unghie; dimmi dovo posso vederla. Mi sentirei capace di avvelenarla col solo mio sguardo!
— Calma, Elenka, disse Notis. In queste faccende bisogna essere freddi.
— Nelle mie ire non so dominarmi, tu lo sai, Notis. Sono quattro giorni che ho il cuore straziato da una terribile gelosia, sono quattro giorni che mi sento presa da una smania feroce di uccidere o di essere uccisa. Dammi questa rivale e tu mi vedrai diventare più crudele della iena, la più sanguinaria che sia vissuta nei deserti dell’Africa.
— E Abd-el-Kerim, l’hai dimenticato?
— Abd-el-Kerim! esclamò Elenka con aria cupa.
— Che faresti di questo traditore se lo avessi in tua mano?
— Non lo so… Dove si trova egli?
— In un posto sicuro.
Elenka lo guardò con sorpresa.
— È forse vicino? domandò con viva emozione.
— Sta sotto i nostri piedi.
— Morto forse!… esclamò ella, dando indietro, spaventata. Notis!…
— Non ancora.
— Dov’è, dimmi Notis, dov’è?
— Chiuso in un sotterraneo.
—