Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Название Jolanda, la figlia del Corsaro Nero
Автор произведения Emilio Salgari
Жанр Зарубежная классика
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Издательство Зарубежная классика
Год выпуска 0
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una bellissima fanciulla, di quindici o sedici anni, alta e flessibile come un giunco, dalla pelle pallidissima, quasi alabastrina, con la tinta che ricordava suo padre il Corsaro Nero; aveva due occhi grandi, d’un nero intenso, e lunghe ciglia che lasciavano cadere sul suo viso la loro ombra.

      I suoi capelli, neri come l’ala di un corvo, li teneva sciolti sulle spalle, legati solamente presso la nuca da una piccola fila di perle.

      Indossava una semplice cappa bianco, con guarnizioni di trine e un sottile ricamo d’oro sulle larghe maniche.

      Vedendo i due corsari, si lasciò sfuggire un secondo grido e rimase colla bocca aperta, mostrando due file di denti piccoli come granelli di riso e più splendenti dell’opale.

      «Signorina di Ventimiglia» disse Carmaux, inchinandosi goffamente e con un certo imbarazzo, «noi siamo due fedeli marinai di vostro padre, qui mandati dal suo antico luogotenente, il capitano Morgan…»

      «Morgan!…» esclamò la fanciulla. «Morgan!… Il comandante in seconda della Folgore?»

      «Sì, signorina. Avete udito a parlare di lui?»

      «Mio padre è morto troppo presto perché me ne parlasse» disse la fanciulla con profonda tristezza, «ma, nelle sue memorie, ho trovato molte volte il nome di quel fedele e valoroso corsaro, che lo seguì sui mari e che lo aiutò a compiere le sue vendette. Dov’è ora?»

      «Qui, in Maracaybo, signorina».

      «Morgan qui? Allora i filibustieri della Tortue hanno preso la città!»

      «Da stamane».

      «E potrò vederlo?»

      «Quando vorrete».

      «E voi, capitano, me lo permetterete?» chiese volgendosi verso lo spagnolo.

      «Voi siete libera, signora, dal momento che il governatore è fuggito».

      «Ah!» fece la giovane, con accento un po’ ironico. «Il conte di Medina è scappato dinanzi ai filibustieri della Tortue? Lo credevo più valoroso».

      «Meglio la fuga che la prigionia».

      «Già, per coloro che non sanno morire combattendo. Sicché io sono libera?»

      «E sotto la nostra protezione, signorina» disse Carmaux.

      «Voi siete…»

      «Eravamo due devoti servitori di vostro padre, il Corsaro Nero».

      «I vostri nomi».

      «Carmaux e Wan Stiller».

      La giovane si passò una mano sulla fronte, come per risvegliare delle lontane memorie, poi disse:

      «Carmaux… Wan Stiller… voi dovete aver accompagnato mio padre nella Florida… dopo l’esplosione del vascello di mio nonno il duca… Nelle memorie scritte e lasciate a me da mio padre io ho trovato molte volte i vostri nomi…»

      Fece alcuni passi innanzi e tese le sue belle mani dalle dita affusolate verso i due filibustieri, dicendo:

      «Una stretta, eroi del mare, fedeli compagni di mio padre nella sua triste vita avventurosa».

      I due corsari, confusi, impacciati, chiusero le due manine fra le loro dita ruvide e callose, borbottando qualche parola.

      «Ed ora» disse la fanciulla «sono con voi, se il capitano non si oppone».

      Si gettò sulle spalle una lunga mantiglia di seta nera con pizzi di Venezia, prese un grazioso cappello di feltro oscuro adorno d’una piuma nera e si mise fra i due corsari, dicendo al capitano con accento ironico:

      «I miei saluti al signor conte di Medina e Torres, e ditegli che se mi vorrà, bisognerà che venga a prendermi alla Tortue, se ne avrà il coraggio».

      Il capitano non rispose; ma appena Carmaux e Wan Stiller furono usciti colla fanciulla, disse:

      «Stupidi!… Non mi avete ucciso!… Miei cari, avrete ben presto mie nuove. Ed ora cerchiamo di raggiungere il governatore, senza attendere il loro salvacondotto».

      Capitolo nono. Jolanda di Ventimiglia

      Quando i due filibustieri e la figlia del Corsaro Nero uscirono dal convento dei Carmelitani, trovarono sulla porta don Raffaele.

      L’onesto piantatore se l’era svignata, per paura che i due corsari avessero la peggio in quel combattimento e che il capitano Valera gli facesse pagare ben caro il tradimento, ma non aveva osato lanciarsi attraverso le vie della città, che erano percorse dagli uomini di Morgan, i quali potevano fargli passare un brutto quarto d’ora.

      Si era perciò tenuto nascosto dietro la porta del monastero, in attesa che il capitano od i corsari comparissero, pronto a mettersi sotto la protezione dell’uno o degli altri.

      «Ah!… Siete qui, don Raffaele?» disse Carmaux, scorgendolo raggomitolato dietro la porta. «Non avete dato una bella prova del vostro coraggio, lasciando noi soli alle prese coi vostri compatrioti».

      «Voi sapete che io non sono mai stato un uomo di guerra» rispose il piantatore. «Che cosa volete che facessi per voi, non possedendo nessuna arma per di più?

      «Ah!… La signora di Ventimiglia!… Che uomini siete voi!… Riuscite in tutte le vostre imprese. Li avete uccisi gli altri?»

      «Uno solo, il soldato» rispose Carmaux. «Basta, conduceteci al palazzo del governo per vie fuori di mano, se è possibile».

      «Attraverseremo le ortaglie» rispose don Raffaele.

      «Vi fidate di costui?» chiese la fanciulla a Carmaux.

      «È una nostra vecchia conoscenza» rispose il filibustiere, ridendo. «Non temete di quel coniglio».

      Si misero in cammino, inoltrandosi attraverso a delle piccole piantagioni d’indaco e di cotone, che si stendevano dietro i sobborghi.

      Non si scorgeva nessuno. Spagnoli e schiavi negri erano fuggiti o erano stati già catturati dai filibustieri di Morgan, che avevano spinto fino là le loro scorrerie, a giudicarlo dalle porte sfondate o sgangherate delle abitazioni e dagli ammassi di mobili fracassati, che si scorgevano sulle vie e che dovevano essere stati gettati dalle finestre.

      Dopo un lungo giro, il piccolo drappello giunse sulla Plaza Mayor, dove gran parte dei corsari di Morgan vi si erano radunati.

      Montagne di barili, di balle di cotone, di botti di zucchero, di farina e di altre derrate, ingombravano la piazza, che pareva fosse stata tramutata in un immenso mercato.

      Parecchie centinaia di prigionieri spagnoli, scelti fra le persone più cospicue della città, si trovavano ammassati in un angolo, guardati da drappelli di corsari, armati fino ai denti.

      Vedendo comparire Carmaux e Wan Stiller colla fanciulla e col piantatore, parecchi filibustieri erano mossi loro incontro gridando:

      «Buona presa, Carmaux?»

      «Corna di toro!… Il vecchio marinaio ha scelta una vera perla!… Dove hai scovata quella bellezza, furbone?»

      «E questi è il traditore che ha fatto impiccare i nostri camerati» urlarono parecchi, circondando don Raffaele. Facciamolo ballare con una buona corda al collo!…»

      «Oh!… Canaglia, non scappi più».

      Venti mani si erano allungate verso il disgraziato piantatore, che pareva più morto che vivo, e stavano per afferrarlo, quando Carmaux si gettò in mezzo a loro colla spada in mano, urlando:

      «Largo!… È preda mia e guai a chi la tocca!…»

      «Impicchiamolo!… Lascia fare, camerata. Te lo pagheremo egualmente».

      «È del capitano» ribatté Carmaux. «Me lo ha già pagato. Sgombrate! E questa fanciulla è la figlia del Corsaro Nero»

      Un grido di stupore ed insieme d’ammirazione sfuggì da tutti i petti. Tutti lasciarono cadere le spade e le sciabole, e si levarono i berretti ed i cappellacci.

      «La signora di Ventimiglia!» esclamarono.

      La