La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери

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Название La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
Автор произведения Данте Алигьери
Жанр Поэзия
Серия Lettura classica
Издательство Поэзия
Год выпуска 1320
isbn 978-5-9925-1285-4



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tua è da viltade offesa;

      46 la qual molte fiate l’omo ingombra

      sì che d’onrata impresa lo rivolve,

      come falso veder bestia quand’ ombra.

      49 Da questa tema acciò che tu ti solve,

      dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi

      nel primo punto che di te mi dolve.

      52 Io era tra color che son sospesi,

      e donna mi chiamò beata e bella,

      tal che di comandare io la richiesi.

      55 Lucevan li occhi suoi più che la stella;

      e cominciommi a dir[2] soave e piana,

      con angelica voce, in sua favella:

      58 «O anima cortese manto ana,

      di cui la fama ancor nel mondo dura,

      e durerà quanto ’l mondo lontana,

      61 l’amico mio, e non de la ventura,

      ne la diserta piaggia è impedito

      sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;

      64 e temo che non sia già sì smarrito,

      ch’io mi sia tardi al soccorso levata,

      per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.

      67 Or movi, e con la tua parola ornata

      e con ciò c’ha mestieri al suo campare,

      l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.

      70 I’ son Beatrice che ti faccio andare;

      vegno del loco ove tornar disio;

      amor mi mosse, che mi fa parlare.

      73 Quando sarò dinanzi al segnor mio,

      di te mi loderò sovente a lui».

      Tacette allora, e poi comincia’ io:

      76 «O donna di virtù sola per cui

      l’umana spezie eccede ogne contento

      di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,

      79 tanto m’aggrada il tuo comandamento,

      che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;

      più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.

      82 Ma dimmi la cagion che non ti guardi

      de lo scender qua giuso in questo centro

      de l’ampio loco ove tornar tu ardi».

      85 «Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,

      dirotti brievemente», mi rispuose,

      «perch’ i’ non temo di venir qua entro.

      88 Temer si dee di sole quelle cose

      c’hanno potenza di fare altrui male;

      de l’altre no, ché non son paurose.

      91 I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,

      che la vostra miseria non mi tange,

      né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.

      94 Donna è gentil nel ciel che si compiange

      di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,

      sì che duro giudicio[3] là sù frange.

      97 Questa chiese Lucia in suo dimando

      e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele

      di te, e io a te lo raccomando -.

      100 Lucia, nimica di ciascun crudele,

      si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,

      che mi sedea con l’antica Rachele.

      103 Disse: – Beatrice, loda di Dio vera,

      ché non soccorri quei che t’amò tanto,

      ch’uscì per te de la volgare schiera?

      106 Non odi tu la pieta del suo pianto,

      non vedi tu la morte che ’l combatte

      su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -.

      109 Al mondo non fur mai persone ratte

      a far lor pro o a fuggir lor danno,

      com’ io, dopo cotai parole fatte,

      112 venni qua giù del mio beato scanno,

      fidandomi del tuo parlare onesto,

      ch’onora te e quei ch’udito l’hanno».

      115 Poscia che m’ebbe ragionato questo,

      li occhi lucenti lagrimando volse,

      per che mi fece del venir più presto.

      118 E venni a te così com’ ella volse:

      d’inanzi a quella fiera ti levai

      che del bel monte il corto andar ti tolse.

      121 Dunque: che è? perché, perché restai,

      perché tanta viltà nel core allette,

      perché ardire e franchezza non hai,

      124 poscia che tai tre donne benedette

      curan di te ne la corte del cielo,

      e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».

      127 Quali fioretti dal notturno gelo

      chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,

      si drizzan tutti aperti in loro stelo,

      130 tal mi fec’ io di mia virtude stanca,

      e tanto buono ardire al cor mi corse,

      ch’i’ cominciai come persona franca:

      133 «Oh pietosa colei che mi soccorse!

      e te cortese ch’ubidisti tosto

      a le vere parole che ti porse!

      136 Tu m’hai con disiderio il cor disposto

      sì al venir con le parole tue,

      ch’i’ son tornato nel primo proposto.

      139 Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:

      tu duca, tu segnore e tu maestro».

      Così li dissi; e poi che mosso fue,

      142 entrai per lo cammino alto e silvestro.

      Canto III

      ’Per me si va ne la città dolente,

      per me si va ne l’etterno dolore,

      per me si va tra la perduta gente.

      4 Giustizia mosse il mio alto fattore;

      fecemi la divina podestate,

      la somma sapienza e ’l primo amore.

      7 Dinanzi a me non fuor cose create

      se non etterne, e io etterno duro.

      Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

      10 Queste parole di colore oscuro

      vid’ io scritte al sommo d’una porta;

      per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».

      13 Ed elli a me, come persona accorta:

      «Qui si convien lasciare ogne sospetto;

      ogne viltà



<p>2</p>

cominciommi a dir = cominciò a dirmi

<p>3</p>

giudicio – лат. форма; совр. giudizio