Serate d'inverno. Marchesa Colombi

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Название Serate d'inverno
Автор произведения Marchesa Colombi
Жанр Языкознание
Серия
Издательство Языкознание
Год выпуска 0
isbn 4064066070519



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       Marchesa Colombi

      Serate d'inverno

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066070519

       PREFAZIONE

       TESTE ALATE

       I.

       II.

       III.

       IV.

       V.

       VI.

       LA PRIMA DISGRAZIA

       IMPARA L'ARTE E METTILA DA PARTE

       FIORE D'ARANCIO

       IN PROVINCIA

       UN VELO BIANCO

       Indice

      Sono l'incubo di mezzo mondo quelle lunghe, lunghe sere d'inverno, che durano dalle sette alle dieci; tre ore per lo meno; per molte famiglie assai più.

      Alle quattro e mezzo, al più tardi alle cinque, s'è accesa la lampada in sala da pranzo. Ad uno ad uno i membri della famiglia, chi da fuori, chi dallo studio, chi dal salotto, si sono radunati là, intorno alla tavola apparecchiata.

      Quelli che sono usciti hanno reso conto dei gradi di freddo della temperatura esterna, della maggiore o minore densità della nebbia, dello stato delle contrade, se asciutte, fangose, gelate, ecc.

      Le signore hanno riferite le visite fatte, le abbigliature della Tale e della Talaltra, le carrozze che erano al corso, le stoffe nuove esposte nei negozi di moda, le pelliccie, i cappellini.

       I giovinetti hanno riportate le novità raccolte al caffè o al club; chi s'è sposato, o è in procinto di farlo, chi è morto, chi è innamorato; che nuovissime promette il manifesto del Manzoni: chi era la signora più brillante la sera innanzi alla Scala; che cosa combinano di fare gli ammiratori per la beneficiata della prima donna o della prima ballerina.

      Il babbo, i membri seri della famiglia, hanno recate le notizie politiche e quelle dei loro reumi, che aumentano o diminuiscono in ragione diretta dell'intensità del freddo, e dei loro catarri a cui l'umidità fa dei brutti tiri.

      Intanto è stata servita la minestra; ciascuno ha preso il suo posto, e durante più d'un'ora tra un boccone e l'altro, si sono particolareggiati tutti gli avvenimenti messi sul tappeto, si sono analizzati, discussi, se n'è visto il fondo.

      Alle sette il pranzo è finito, la tavola è sparecchiata, e la sera, l'eterna sera d'inverno, non è cominciata ancora.

      Gli scrittori sentimentali che hanno l'abitudine di guardare il mondo traverso una lente azzurra come se fosse un eclissi, hanno scritto volumi di prosa soave, sulle serate di famiglia intorno al focolare domestico; ce le hanno dipinte come un perpetuo idillio.

       Ma in realtà sono una delle tante cose, che sembrano belle soltanto quando si guardano da lontano.

      Io pure a quest'ora, dopo tanti anni e tanti avvenimenti, le ripenso con dolcezza infinita le serate casalinghe della mia casa paterna.

      Il capo di casa ottuagenario, che sonnecchiava in una poltrona accanto al camino, e tratto tratto si svegliava in un sussulto, o perchè le molle gli erano cadute dalle mani, o perchè la serva entrando gli aveva mandata una corrente d'aria tra capo e collo, o per qualunque altro avvenimento della medesima importanza.

      Domandava l'ora, picchiava i tizzoni, osservava che io sporgevo sempre le labbra come se fossi in collera col Padre Eterno, che mio fratello non faceva mai nulla, che mia sorella aveva gli occhi rossi, che le zie dovevano annoiarsi di far sempre lo stesso lavoro.

      — Maria, tira dentro quel muso.

      — Mario, fa qualche cosa, fannullone.

      — Teresa smetti quel ricamo che ti guasta la vista.

      — Quante calze ha fatte quest'inverno signora Caterina? Deve averne per un reggimento.

      — Ce n'ha sempre di bucato da raccomodare signora Rosa?

       Quando aveva fatta l'una o l'altra di queste osservazioni, tanto per provarci che non dormiva, s'addormentava daccapo per un altro quarto d'ora.

      La zia Rosa non amava conversare; parlava soltanto quando poteva imprendere una narrazione tutta finezze, e particolari, e dissertazioni, e commenti, che le permettesse di tener la parola per una mezz'ora o più, senza interruzione. Ma la sera non era più in lena, e preferiva star zitta.

      La zia Caterina parlava sempre per proverbi. Ne aveva una raccolta immensa, colle rime che non tornavano, mezzi in lingua mezzi in dialetto, e ad ogni discorso ne trovava uno da applicare.

      Quando qualcuno si meravigliava degli interminabili rammendi di sua sorella, era lei che rispondeva:

      «L'ago e la pezzuola, tengono in piedi la camiciola.»

      Se si osservava a lei che, a forza di far calze tutta la vita, doveva averne una provvista sterminata, rispondeva subito:

      — Pane e panni, buoni compagni.

      — Che freddo! diceva qualcuno, non s'ha voglia di uscire.

      — Ma sicuro, ribatteva lei. A Santa Caterina, chiudi i buoi nella cascina.

      — Le giornate cominciano ad allungarsi un poco.

       — Senza dubbio. Natal el pass d'un gall.

      Questo era uno de' suoi proverbi più infelici, perchè oltre la rima impossibile, aveva bisogno d'un discorso preparatorio per stabilire che il passo d'un gallo era la misura di cui s'era allungata la giornata a quell'epoca.

      Mio fratello la chiamava il Giusti; e quando aveva bisogno d'una rima pe' suoi infelici tentativi poetici, ricorreva sempre a lei.

      Ma quei proverbi che ora mi fanno sorridere quando li ricordo, allora li udivo ogni sera, li sapevo, li avevo in uggia.

      Il nostro capo di casa aveva un fratello di settant'anni, che gli pareva molto giovine perchè aveva undici anni meno di lui; egli veniva ogni sera a sedere per un paio d'ore dirimpetto al suo primogenito dall'altro lato del camino.

      Quello parlava a monosillabi, e bisognava strapparglieli con una serie di domande. S'accontentava di starsene zitto contemplando il fratello, pel quale aveva una grande venerazione, e cogliendo il momento opportuno per impadronirsi