Название | Il Dono Del Reietto |
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Автор произведения | Mario Micolucci |
Жанр | Героическая фантастика |
Серия | |
Издательство | Героическая фантастика |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9788893982634 |
Continuò a spingersi avanti, non sapeva bene neanche lui verso cosa. Sentiva l'alito fetido della morte attanagliarlo o, forse, era il suo stesso respiro che puzzava di putrefazione. Aveva il fiato corto e i passi si facevano sempre più lenti e brevi. Dall'alto, il gracchiare degli straziatori sembrava deriderlo o festeggiare in attesa del banchetto che li attendeva. Esausto, si fermò e, con la vista annebbiata, focalizzò a fatica la sua immagine riflessa sull'acqua: vide un essere più simile a una statua di creta grezza che a un goblin. Aveva lunghi peli bianchi e radi che gli spuntavano a chiazze sparse casualmente un po' dappertutto e le dita sembravano ramoscelli secchi e putrescenti: quando aveva visto lo sciamano, gli era sembrato molto anziano, ma solo in quel frangente potette contemplare cosa significasse essere veramente vecchi. Fece per riprendere a muoversi, ma le ginocchia non lo assecondarono e, con un tonfo, cadde nella sua stessa immagine riflessa, mentre perdeva i sensi.
Registri di Dharta Misathon (trentesimo giorno del mese quinto nell'anno 11522).
La capanna della strega.
Sognò di essere il Verme Primordiale. Gli bastava un solo piccolo sforzo per muoversi di centinaia di passi: attraversava la dura roccia come un pesce farebbe con l'acqua. Sentiva tutto il mondo appartenergli. Era forte e inarrestabile, ma, a un tratto, udì la voce dello sciamano e si sentì rattrappire: ogni movimento diventava sempre più faticoso e doloroso. Si mosse nella terra come un serpente d'acqua nuota nella palude ed emerse sotto la volta celeste. Avvertì il battere d'ali dei corvi e i suoni di una furiosa battaglia aerea tra questi e un maestoso cigno bianco. Quest'ultimo, puntando dritto in picchiata, sbaragliò la difesa dello stormo nero per andare a infilarglisi diritto nella gola. Nell'ingurgitarlo, avvertì nelle interiora una fitta fortissima che portò Djeek a dissociarsi dall'Emissario e tornare a essere se stesso, anche se molto vecchio. Si ritrovò intrappolato nello stomaco del Grande Verme insieme al suo amico lupo. Sulle pareti molli e putrescenti, erano trattenute da una melma collosa le figure urlanti di elfi sfigurati i quali presero a insultarlo tra gorgoglii soffocati.
All'improvviso, irruppe nello stomaco anche il cigno. Esso si avventò contro di lui: i due si cinsero in un abbraccio mortale. Caddero a terra ruzzolando tra piume bianche e schizzi di sangue nero. Alla fine Djeek riuscì a mordere il collo del suo avversario uccidendolo, ma sentì il suo sangue colargli nella gola come acido. Rimase a terra in preda convulsioni dolorose, mentre il lupacchiotto cercava di leccargli via il sangue del cigno dalla faccia, perché la stava corrodendo...
Si svegliò di soprassalto su di un giaciglio di legno marcio. Il suo piccolo amico gli leccava la faccia. Il sogno era svanito, lasciando indietro qualcosa, però: il dolore che gli attanagliava gola, stomaco e ventre era ancora lì, più intenso che mai. Urlò e si rotolò tenendosi il ventre; nel dimenarsi cadde giù dalla branda, nel frattempo il lupacchiotto guaiva girandogli intorno allarmato.
«Cos'è questo baccano!» sbraitò una voce gracchiante. «È ancora presto per svegliarti. Bevi questo!»
Djeek si sentì prendere per i peli della testa da una mano ossuta e, con lo sguardo appannato, vide una sagoma sinistra cacciargli in gola un qualche intruglio che lo fece sprofondare di nuovo nel sonno, questa volta senza sogni.
Quando si risvegliò, vide che il cucciolo dormiva ai suoi piedi. Era molto cresciuto. Infatti, la sua stazza era più che triplicata: per quanto tempo aveva dormito? Si sentiva ancora distrutto, ma il dolore allo stomaco era meno straziante. Così, ebbe la lucidità di guardarsi attorno. Si trovava all'interno di una capanna. Strutturalmente non era così diversa da quelle dei goblin: era composta di rami, tavole di legno e fronde per coprire le fessure più evidenti. Al suo interno, era accatastata una miriade di ossa, ampolle, contenitori, calderoni, strane verdure appese insieme a organi e pezzi di animali irriconoscibili. L'aria era talmente pregna di odori che, nel miasma, non riusciva neanche a distinguere quello del lupo che gli dormiva vicino. Continuando a guardarsi intorno, scorse la cosa più strana tra quelle appese: c'era un neonato di umano. Era stato fissato a una parete e aveva una canula infilata in un braccio: da essa gocciolava, molto lentamente, del sangue che andava finire in un'ampolla. Inoltre, aveva un tubo ficcato in gola attraverso il quale gli veniva somministrato del liquido bianco, probabilmente del latte. Il piccolo era ancora vivo, poiché cercava di urlare incessantemente senza produrre alcun suono a eccezione di qualche gorgoglio: aveva una piccola incisione sul collo a testimonianza di un intervento alle corde vocali.
«Ti sei svegliato!» sentì gracchiare dietro di sé e trasalì.
«Il mio siero è, ormai, talmente perfezionato che riesce ad annullare completamente anche una delle più potenti maledizioni che un sacerdote di Corrupto possa proferire» disse passandogli una mano rinsecchita e scura sulla guancia.
Solo in quel momento, Djeek si ricordò della sua vecchiaia e si accorse di essere ringiovanito. Stava per ringraziare la sua salvatrice, quando questa gli fece entrare le unghie nella faccia e con tono stizzito sibilò: «Ti invidio! Bravo! Sei stato una buona cavia. Ora, non mi servi più e quindi è meglio che ti uccida, infima creatura di Corrupto!» Quindi, ponendoglisi dinanzi con una piccola canna cava e aguzza, aggiunse: «Ma prima, ho bisogno di un po' del tuo sangue: sarà utile per le mie ricerche sull'antidoto.»
Djeek era troppo debole per reagire e non poté fare altro che osservare inerme la strana creatura mentre, con noncuranza, gli infilava il rozzo ago in una vena del polso.
Era davvero alta, ma la corporatura era magra e ricurva. La pelle rugosa era tesa tra le ossa sporgenti. Indossava uno cencio strappato e lordo di strati e strati di macchie di origine svariata. Le sue fattezze erano simili a quelle umane, ma dava anche l'impressione di essere una gallina spennata, tant'è vero che in alcuni punti, soprattutto sulle braccia, le spuntavano penne per lo più di colore nero; in effetti, aveva anche qualche rara piuma bianca.
Sul collo lungo e incurvato, faceva capolino un piccolo volto rugoso nel quale risaltava un naso adunco e ossuto, simile a un becco. Gli occhi erano fissi e senza palpebre, come quelli di un uccello: essa, infatti, per guardarsi intorno, muoveva la testa con piccoli e rapidi movimenti che facevano dondolare come un bargiglio la pelle molle sotto il mento.
Prese una fiala, la pose sotto la canula e vi raccolse un po' di sangue nero del goblin. Si voltò, raggiunse quello che doveva essere una specie di tavolo alchemico, con tanto di alambicco fumante. Ricavò un piccolo piano di appoggio scansando un cumulo disordinato di contenitori e ingredienti. Poi, pose la fiala con il sangue di Djeek sotto un tubicino collegato all'attrezzatura. Si recò verso l'altro angolo della stanza ove era appeso il piccolo di umano; prese l'ampolla piena e la sostituì con una vuota in modo da evitare che il sangue venisse sprecato. Tornò, quindi, al banco per versarlo nell'alambicco, azionò alcune manopole e, tra sbuffi di vapori maleodoranti, uno strano siero risalì una serpentina vitrea per poi gocciolare nel sangue nero del goblin.
La bizzarra creatura prese la fiala con delicatezza, la scosse lentamente per mescolarne il contenuto divenuto di colore rosso cupo, si voltò verso una piccola finestra e guardandola controluce, esultò: «Perfetto! Ora, vediamo se funziona.»
Prese un grosso contenitore di vetro, si praticò un taglio sul polso e vi fece colare un copioso rivolo del suo sangue. Esso si presentava nero, ma risultava stranamente costellato da piccole gocce brillanti, come le stelle nel cielo notturno. Quando ne ebbe raccolto la quantità che riteneva opportuna, immerse, con una smorfia di dolore, il braccio leso in un calderone fumante e lo tirò fuori con la ferita cicatrizzata. Versò, quindi, una goccia del siero contenuto nella fiala in quella che conteneva il suo sangue, mescolò con una bacchetta di vetro, si sedette e attese. Dopo un po', le gocce luccicanti sembrarono moltiplicarsi. Djeek vide drizzarsi le penne sulla schiena della