I Guardiani Dei Desideri. Massimo Longo

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Название I Guardiani Dei Desideri
Автор произведения Massimo Longo
Жанр Зарубежное фэнтези
Серия
Издательство Зарубежное фэнтези
Год выпуска 0
isbn 9788835424727



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      Maria Grazia Gullo - Massimo Longo

      I guardiani dei desideri

      Il demone dell’oblio

      Copyright © 2018 M.G. Gullo – M. Longo

      L'immagine di copertina e la grafica sono state realizzate e curate da Massimo Longo

      Tutti i diritti riservati.

      Indice

Primo Capitolo È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo… pag.7
Secondo Capitolo Lo ossessionava con un sussurro gelido pag.16
Terzo Capitolo Accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere pag.26
Quarto Capitolo Come un cattivo presagio, mormorava parole in una lingua sconosciuta pag.40
Quinto Capitolo Faccia a faccia con qualcosa di mostruoso pag.53
Sesto Capitolo La sua mente era invasa da quelle cantilene pag.62
Settimo Capitolo Caratteri incomprensibili si incendiavano al suono della cantilena pag.74
Ottavo Capitolo Rifletteva quella terribile immagine pag.89
Nono Capitolo Una scala a chiocciola saliva verso l’alto all’infinito pag.106
Decimo Capitolo Gli sembrava alla fine di poter sfondare con le mani il cielo Pag.119
Undicesimo Capitolo Questo pensiero pungeva ostinatamente la sua anima Pag.128
Dodicesimo Capitolo Ricordava un infuso di aglio e odorava di zolfo Pag.139
Tredicesimo Capitolo Venne giù dal cielo trascinando con sé tutte le nubi più nere Pag.152
Quattordicesimo Capitolo Scese da una nube serfando Pag.168
Quindicesimo Capitolo Come se sparisse nelle profondità della terra Pag.180
Sedicesimo Capitolo Improvvisamente uno strano suono, come un gorgoglio profondo Pag.190
Diciassettesimo Capitolo Con il suo passo elegante ne attraversò la soglia Pag.199
Diciottesimo Capitolo Gli artigli si conficcarono ancora più in profondità Pag.209
Diciannovesimo Capitolo Come si fa con una torta margherita Pag.221
Ventesimo Capitolo Mi chiamo di volta in volta col nome che mi viene dato Pag.230

      Prologo

      - Vedrai andrà tutto bene, sei grande oramai...Torna a giocare con gli altri bambini, ci rivedremo un giorno, te lo prometto!

      Il bambino guardava scomparire lentamente, con gli occhi velati di lacrime, colui che era stato il suo compagno di giochi da che ne avesse memoria.

      Corse rapidamente verso le giostre del parco assolato, dove tornò a giocare con i bambini del quartiere, mentre il ricordo del suo amico immaginario svaniva.

      Arrivò, tra gli spintoni, il suo turno allo scivolo. Non attese un istante e si lanciò in discesa con tutta la spinta possibile. Neanche il tempo di arrivare alla fine della discesa, che vide spuntare una piccolissima bimba bionda davanti ai suoi piedi, sfuggita al controllo della mamma, non riuscì a frenare e la colpì con violenza.

      La bimba perse l’equilibrio e batté la testa sul costone di cemento che contornava lo scivolo.

      Tentò di raggiungere la piccola, per assicurarsi che non si fosse fatta troppo male, ma fu spinto in malo modo dalla madre che correva a soccorrerla. In quello che a lui sembrò un istante, una folla di nonni e mamme si accalcarono intorno alla malcapitata.

      Un’unica cosa riuscì a sentire, mentre cercava di farsi spazio in mezzo alla foresta di gambe degli adulti:

      - È svenuta! Qualcuno chiami il pronto soccorso!

      Quella voce gli risuonava feroce nelle orecchie, la paura lo assalì. Corse verso il boschetto che si trovava alle spalle del parco.

      Di colpo tutto diventò buio intorno a lui. Nell’aria un vento gelido portava con sé strani suoni, insieme alle parole udite un attimo prima, iniziarono a risuonare dei versi che stentava a capire, sopraggiungevano da dietro un gruppo di alberi dove un’ombra lunga appariva. Poi la voce si fece sempre più insistente, giungeva da direzioni diverse intorno a lui. Era vicina adesso, sempre più vicina, fino a sussurrargli nelle orecchie:

      "Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"

      Si strinse forte la testa fra le mani per non sentire, ma era tutto inutile, cadde in ginocchio, i suoi occhi si spensero…

      "Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"

      Primo Capitolo

      È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo

      - Elio, Elio, presto! Aiutami con le buste della spesa prima che arrivi il temporale!

      Elio se ne stava immobile dentro le sue scarpe sempre nuove e guardava sua madre affaccendarsi senza posa.

      - Elio! Cosa fai li impalato? Prendi questa! - lo scosse e gli caricò fra le braccia un'enorme busta con le verdure.

      Elio non aveva intenzione di fare altro, salì i gradini esterni del palazzo e girandosi di spalle spinse il portone, si fermò fissando quella maledetta luce rossa lampeggiante dell'ascensore, poi sconfitto salì le scale sino in casa e, appoggiata la busta sul tavolo della cucina, andò dritto in camera sua ad ascoltare la musica disteso sul letto.

      Il tempo di salire le scale del palazzo e la madre stanca andò in cerca di lui.

      Si affacciò alla porta della sua camera urlando: - Cosa stai facendo? Non abbiamo ancora finito, vieni ad aiutarmi!

      - Si, si...sto arrivando...- rispose Elio non muovendosi, solo per liberarsi di lei.

      Giulia si allontanò, sperando che questa volta sarebbe stato diverso. Era disperata, non riusciva più a scuotere questo figlio che diveniva sempre più apatico.

      Dall’ingresso si udirono i veloci passi decisi di sua sorella che lo chiamava con voce allegra: - Elio! Elio! Muovi il sedere da quel letto e vieni ad aiutare anche tu la mamma che ti sta aspettando giù - gli urlò sapendo che sarebbe stato proprio inutile.

      Elio non si mosse e continuò indifferente a fissare il soffitto, dopo aver aumentato il volume del suo lettore.

      Giulia, sfinita più per la lotta con il figlio che per la fatica, finì di scaricare la spesa insieme alla figlia Gaia. Non faceva che pensare ad Elio, mentre saliva le scale di quel palazzo di cinque piani, bianco e arancione come tutti quelli del quartiere popolare di Gialingua dove vivevano, in cui l’ascensore funzionava a giorni alterni e, chissà perché, mai in quelli in cui si doveva portare su la spesa. Vi vivevano venti famiglie, in altrettanti appartamenti che si affacciavano sui lati opposti.

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