Название | Terre spettrali |
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Автор произведения | Софи Лав |
Жанр | Современные детективы |
Серия | Un Casper a quattro zampe |
Издательство | Современные детективы |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781094343266 |
Prima che avesse il tempo di riflettere sul suo bizzarro comportamento, il telefono di Chris vibrò di nuovo. Non esitò a prenderlo. Sullo schermo vide l'inizio del messaggio. Non proveniva da nessuno dei contatti salvati, ma il prefisso era quello locale. Questo fu ciò che Marie riuscì a leggere: Non starò sveglia tutta la notte, ma lascerò la porta aperta se tu…
Era tutto ciò che l'anteprima sullo schermo bloccato le consentiva di vedere. Ed era sufficiente. Il dolore immediatamente la travolse.
Incapace di resistere, Marie sbloccò il cellulare di Chris. Lo aveva visto digitare la password diverse volte e non ebbe problemi a ricordarsela. Andò direttamente al messaggio e vide che era solo l'ultimo di un lungo scambio. I messaggi erano brevi, ma raccontavano una storia ben dettagliata e molto esplicita.
Li stava ancora scorrendo quando Chris tornò al tavolo. Vide ciò che stava facendo Marie, e rimase in piedi anziché tornare a sedersi. Marie alzò lo sguardo verso di lui e dovette ricorrere a tutta la propria forza di volontà per non piangere.
Invece di scoppiare in lacrime, lanciò il telefono verso di lui facendolo atterrare rumorosamente sul suo lato del tavolo.
“Cos'è questa roba?” sbottò Marie.
“Perché stai leggendo i miei messaggi?”
“Perché una donna con un prefisso di qui dovrebbe lasciare la porta aperta per te stasera?” controbatté lei. “E, oltretutto, non solo stasera, ma per diverse volte nelle ultime settimane.”
Sapeva di essere stato smascherato. Glielo si poteva leggere in faccia, nel modo in cui i suoi occhi sembravano scandagliare l'appartamento alla ricerca di una via d'uscita.
“Marie… è solo… non è niente di serio.”
“Oh, a me sembra qualcosa di molto serio. Forse emotivamente no, ma fisicamente decisamente sì. Di chi si tratta?”
“Una tipa della compagnia di giochi che abbiamo rilevato il mese scorso.”
“E avevi intenzione di dirmelo, prima o poi, o me lo avresti tenuto nascosto?”
Chris portò il suo piatto al lavandino, poi la squadrò. Prese una postura rigida e un tono autoritario.
“Non vedo questo gran problema.”
“Cosa? Mi prendi in giro?”
“Marie… i tempi cambiano. Abbiamo quasi quarant'anni. Le relazioni al giorno d'oggi sono diverse, sai? Non vedo il problema. Che male c'è ad avere due ragazze?”
“Questa è la cosa più stupida che abbia sentito oggi. E, credimi, ne sento di cose stupide al lavoro.”
“Ma lei…”
“Vai via, Chris.”
“Marie, ascoltami.”
“Oh, l'ho fatto. E ho sentito abbastanza. Ora vattene!”
Avrebbe voluto dire un milione di cose, ma le lasciò tutte da parte. Chris aveva già raggiunto la porta prima che Marie potesse anche solo pensare di dire qualcosa su quanto stava accadendo. Sembrava proprio che lui volesse andare via.
Fu in gran silenzio che chiuse la porta, ma per Marie fu come se l'avesse sbattuta.
Rimase per un momento a fissare la porta, combattendo contro le lacrime, domandandosi se quella pessima giornata potesse addirittura peggiorare.
Non appena elaborò quel pensiero, squillò il telefono.
Era un numero sconosciuto, e il prefisso non era nemmeno quello locale. Rispose, aspettandosi che avessero semplicemente sbagliato.
“Pronto?”
“Buonasera. Parlo con Marie Fortune?” Era una voce maschile, austera, dal tono ufficiale.
“Sono io.”
“Signorina Fortune, sono il vicesceriffo Miles della polizia della contea di Winscott.” Il suo tono era secco ma anche un po' esitante. Era strano, perché le sembrava di riconoscere che tipo di chiamata fosse, ma non aveva familiari in quella zona.
A meno che…
Il cuore le si fermò un istante, in attesa della conferma.
“Mi spiace comunicarle che sua zia June è venuta a mancare.”
CAPITOLO TRE
Marie avrebbe voluto prendersi a schiaffi. Meno di trenta secondi prima, aveva osato chiedersi se la sua giornata potesse peggiorare in qualche modo. Ed ecco la risposta. Aprì la bocca, ma non uscì nessuna parola.
“Signorina Fortune, è ancora lì?”
“Ehm…”
Fu tutto ciò che riuscì ad articolare, la mente invasa dai ricordi della sua prozia June.
Zia June era stata una donna molto eccentrica. Era stata lei a pronunciare la prima battuta sconcia che Marie avesse mai sentito, ed era stato sempre da zia June che aveva bevuto alcol per la prima volta (un sorso di whiskey). Era sempre stata innamorata della casa di sua zia. Anzi, era stata proprio quella casa a instillare nella mente di Marie il sogno di aprire, un giorno, un bed-and-breakfast.
June aveva novant'anni, ma non rimaneva mai a lungo nello stesso posto. Aveva vissuto sulla costa del Maine nell'ultima trentina d'anni ma viaggiava spesso in Florida, a Porto Rico e, chissà mai perché, anche in Wyoming. Era sempre stata una dei parenti preferiti di Marie ed erano state parecchio vicine negli anni della scuola media. E quando sua madre era uscita di scena che Marie era ancora adolescente, la prozia June ne aveva fatto in qualche modo le veci, per un po'.
Ciononostante, Marie non la vedeva da quasi due anni, quando June era stata per l'ultima volta di passaggio a Providence. All'improvviso questi due anni le sembrarono un periodo davvero lungo. Ma, stranamente, i giorni e le settimane che aveva passato da bambina a casa di June le sembravano invece incredibilmente vicini, quasi li potesse toccare. Le passavano davanti come un bizzarro caleidoscopio: la quantità folle di libri, l'enorme salotto, le candele, l'odore del lucido per legno e dell'oceano, la sabbia che le scottava le dita. Poteva facilmente richiamare alla memoria i castelli di sabbia che costruiva sulla spiaggia dietro la casa, cercando di imitare le guglie e le colonne della villa alle sue spalle. E poteva ancora facilmente rivivere l'attesa di percorrere quel tortuoso viale che portava alla casa, che la faceva letteralmente sobbalzare dal sedile per l'eccitazione.
Mentre se ne stava lì immobile con il telefono in mano, all'improvviso le sembrò di sentire l'odore del tè oolong e degli scones bruciacchiati che June preparava ogni volta che lei andava a visitare quella vecchia casa sulla costa del Maine, subito dopo Ogunquit.
I ricordi si interruppero quando si rese conto che, di tutti i familiari, la polizia aveva chiamato proprio lei. Non aveva senso.
“Signorina Fortune? Tutto bene?”
La voce del vicesceriffo la ricondusse alla realtà, strappandola al vago reame dei ricordi. “Ci sono. Sto solo… elaborando.”
“Posso immaginare.”
“Com'è successo?” chiese Marie, combattendo le lacrime per la seconda volta quella sera.
“Crediamo che si sia spenta in pace nel sonno. Un pisolino pomeridiano, forse. La sua vicina ci ha chiamati e ci ha detto che June non rispondeva al telefono da due giorni e che non aveva risposto nemmeno alla porta quando lei è andata a bussare. L'abbiamo trovata adagiata sulla sua sedia.”
“Chi altri avete chiamato?”
“A parte la vicina di casa, lei è l'unica.”
“E gli altri familiari? Voglio dire… siamo state vicine, ma non di recente.”
Nel momento stesso in cui menzionò altri potenziali membri della famiglia, però, capì perfettamente. Per come era messa la sua famiglia, aveva senso che fosse lei l'unica a essere stata contattata.
“C'erano il suo numero di telefono e l'indirizzo e-mail sul frigorifero,” spiegò il vicesceriffo Miles. “La vicina