Название | Messaggi dallo Spazio |
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Автор произведения | Морган Райс |
Жанр | Героическая фантастика |
Серия | Le Cronache dell’invasione |
Издательство | Героическая фантастика |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781640294578 |
Luna piegò la testa di lato. “Che genere di cose?”
Kevin le spiegò degli strani paesaggi che aveva visto, del fuoco che spazzava via tutto, della sensazione di conto alla rovescia.
“Questo…” iniziò Luna quando lui ebbe finito. Ma non pareva avere idea di come andare avanti.
“Lo so, è da pazzi, sono pazzo,” disse Kevin. Neanche Luna gli credeva.
“Non mi hai lasciato finire,” disse Luna, prendendo un respiro. “Questa cosa… è una figata.”
“Una figata?” ripeté Kevin. Non era stata la risposta che si era aspettato, neanche da lei. “Tutti gli altri pensano che stia impazzendo, o che mi stia fondendo il cervello, o cose del genere.”
“Tutti gli altri sono stupidi,” dichiarò Luna, anche se ad essere onesti sembrava essere la sua opinione di default. Per lei tutti erano stupidi, fino a che non davano prova del contrario.
“Quindi mi credi?” chiese Kevin. Neanche lui ne era più completamente sicuro, dopo tutto quello che la gente gli aveva detto.
Luna lo prese per le spalle e lo guardo dritto negli occhi. Con un’altra ragazza, Kevin avrebbe potuto pensare che stesse per baciarlo. Non con Luna però.
“Se tu mi dici che queste visioni sono reali, allora sono reali. Ti credo. Ed essere capaci di vedere mondi alieni è decisamente una figata.”
Kevin sgranò un poco gli occhi. “Cosa ti fa pensare che si tratti di un mondo alieno?”
Luna fece un passo indietro e scrollò le spalle. “Cos’altro dovrebbe essere?”
Quando lo chiese, Kevin ebbe l’impressione che fosse del tutto sconvolta da questa faccenda proprio come lui. Semplicemente era molto più brava a nasconderlo.
“Magari…” ipotizzò, “… magari tutto il tuo cervello è cambiato e ora è in linea diretta con questo posto alieno?”
Se Luna avesse mai acquisito un superpotere, sarebbe stato probabilmente l’abilità balzare in un batter d’occhio alle più difficili conclusioni. A Kevin piaceva questa sua caratteristica, soprattutto quando significava che lei era l’unica persona che gli credeva. Lo stesso sembrava che ci fossero un sacco di cose da decidere, e troppo rapidamente.
“Sai quanto sembri folle, vero?” le chiese.
“Non più folle dell’idea che il mondo stia per portarmi via il mio amico per nessun valido motivo,” ribatté Luna, i pugni stretti in un modo che suggeriva che avrebbe fatto volentieri a botte per la questione. O forse serrati solo nello sforzo di non piangere di nuovo. Luna tendeva ad arrabbiarsi, o a fare scherzi o cose pazze piuttosto che mostrarsi agitata. In quel momento Kevin non poteva biasimarla.
La guardò tornare da qualsiasi luogo del pianto in cui si fosse trovata, riavvolgere tutto pezzo per pezzo e sforzarsi invece di sorridere.
“Quindi, malattia terribile, visioni pazzesche di mondi alieni… c’è altro che non mi hai detto?”
“Solo i numeri?” disse Kevin.
Luna lo guardò con ovvia irritazione. “Capisci che ora non dovevi dire sì?”
“Volevo dirti tutto,” disse Kevin, anche se immaginava che fosse ormai un po’ troppo tardi. “Scusa.”
“Va bene,” disse Luna. Di nuovo Kevin ebbe la sensazione che stesse elaborando l’intera questione per capirla. “Numeri?”
“Vedo anche quelli,” disse Kevin. Li ripeté a memoria. “23h 06m 29.283s, −05° 02′ 28.59.”
“Ok,” disse Luna, corrucciando le labbra. “Mi chiedo cosa significhino.”
Che non potessero significare niente parve non passarle neanche per la testa. Kevin la adorava per questo.
Tirò fuori il telefono. “Non possono essere una targa, e sarebbero strani in qualità di password. Cos’altro?”
Kevin non ci aveva pensato, almeno non nel modo diretto in cui Luna pareva applicarsi ora al problema.
“Forse come il codice di un articolo, un numero seriale?” suggerì Kevin.
“Ma ci sono ore e minuti,” disse Luna. Sembrava profondamente presa dal problema del significato. “Che altro?”
“Forse l’ora e il luogo di una consegna?” suggerì Kevin. “Quelli nella seconda parte sembrano essere delle coordinate.”
“Ma non pare proprio esatto come riferimento a una mappa,” disse Luna. “Magari provando su Google… oh, fico!”
“Cosa?” chiese Kevin. Un’occhiata all’espressione di Luna gli fece capire che erano andati a segno.
“Quando digiti quella sequenza di numeri nel motore di ricerca, ottieni risultati solo su una cosa,” disse Luna. Sembrava così certa della cosa. Girò il telefono per farglielo vedere, le pagine elencate in una sequenza ordinata. “Il sistema stellare Trappist 1.”
Kevin sentì crescere la propria eccitazione. Di più, sentì crescere la sua speranza. Speranza che tutto questo potesse davvero significare qualcosa, e che non fosse solo la sua malattia, al di là di quello che dicevano tutti. Speranza che potesse davvero essere reale.
“Ma perché dovrei vedere questi numeri?” chiese.
“Forse perché il sistema Trappist è uno dei pochi in cui è possibile lo sviluppo della vita?” chiese Luna. “Da quello che dice qui, ci sono diversi pianeti in quella che pensiamo sia una zona abitabile.”
Lo disse come se fosse la cosa più ovvia al mondo. L’idea di pianeti che potessero avere forme di vita sembrava troppo una coincidenza quando Kevin quella vita l’aveva vista. O almeno qualche strana vita.
“Devi parlarne con qualcuno,” dichiarò Luna. “Sei… tipo la prima prova di contatto con vita extraterrestre, o qualcosa del genere. Chi erano quelle persone che cercavano gli alieni, gli scienziati? Ho visto una cosa su di loro in TV.”
“SETI?” chiese Kevin.
“Proprio quelli,” disse Luna. “Non sono a San Francisco, o San Jose, o qualcosa del genere?”
Kevin non lo sapeva, ma più ci pensava e più l’idea lo incalzava.
“Devi andarci, Kevin,” disse Luna. “Devi almeno parlarci.”
***
“No,” disse sua madre posando la tazza di caffè troppo forte e versandone un po’ sul tavolo. “No, Kevin, assolutamente no!”
“Ma, mamma…”
“Non ti porterò a San Francisco perché tu vada a disturbare un branco di fuori di testa,” disse sua madre.
Kevin le porse il telefono, mostrando le informazioni sul SETI. “Non sono pazzi,” disse. “Sono scienziati.”
“Anche gli scienziati possono essere pazzi,” disse sua madre. “E quest’idea… Kevin, non puoi solo accettare il fatto che vedi delle cose che non ci sono?”
Era quello il problema: sarebbe stato fin troppo facile accettarlo. Sarebbe stato facile dire a se stesso che non era vero, ma c’era qualcosa che lo stuzzicava nella sua testa e che gli diceva che sarebbe stata una cattiva idea farlo. Il conto alla rovescia stava continuando, e Kevin sospettava di dover parlare con qualcuno che gli credesse prima che arrivasse alla fine.
“Mamma, i numeri che ti dicevo che vedevo… abbiamo scoperto che sono la localizzazione di un sistema stellare.”
“Ci sono così tante stelle là fuori che sono certa che una qualsiasi serie di numeri a caso ti porterebbe a una di esse,” disse sua madre. “Sarebbe lo stesso per la massa delle stelle o… o, non so abbastanza di stelle per dire cos’altro, ma qualsiasi cosa potrebbe avere una parvenza