Название | Schiava, Guerriera, Regina |
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Автор произведения | Морган Райс |
Жанр | Героическая фантастика |
Серия | Di Corone e di Gloria |
Издательство | Героическая фантастика |
Год выпуска | 0 |
isbn | 9781632917119 |
“Sbrigatevi!” gridò Ceres girandosi.
Si udì un altro boato e sebbene lei non fosse mai stata al festival, se lo poteva immaginare nel dettaglio: l’intera città – tutti i tre milioni di cittadini di Delo – che affollavano l’arena in quel giorno del solstizio d’estate. Sarebbe stato fantastico, una cosa mai vista, ma se lei e i suoi fratelli non si fossero sbrigati, non sarebbe rimasto un solo posto libero.
Prendendo velocità Ceres asciugò una goccia di sudore dalla fronte e strofinò la mano sulla tunica logora color avorio passatale da sua madre. Non aveva mai avuto abiti nuovi. Secondo sua madre, che adorava i suoi fratelli ma sembrava nutrire uno speciale odio e invidia per lei, non se li meritava.
“Aspettate!” gridò Sartes con voce rotta dall’irritazione.
Ceres sorrise.
“Devo portarti in braccio?” gli gridò in risposta.
Sapeva quanto odiava quando lei lo prendeva in giro, ma il suo rimprovero beffardo l’avrebbe motivato a correre più veloce. Ceres non si curava del suo stare al passo: pensava che fosse tenero il modo in cui, a tredici anni, facesse qualsiasi cosa per essere considerato uno come loro. E anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, una buona parte di lei aveva bisogno che lui necessitasse di lei.
Sartes sbuffò sonoramente.
“Nostra madre ti ammazzerà quando verrà a sapere che le hai disobbedito un’altra volta,” le gridò.
Aveva ragione. In effetti sarebbe andata così, oppure le avrebbe dato una bella fustigata.
La prima volta che sua madre l’aveva picchiata, quando aveva cinque anni, era stato il momento in cui Ceres aveva perso la sua innocenza. Prima di allora il mondo era stato divertente, bello e gentile. Dopo quel fatto niente era più stato sicuro, e tutto ciò a cui poteva aggrapparsi era la sua speranza per un futuro dove potersene andare da lei. Ora era più grande, eppure anche quel sogno si stava corrodendo nel suo cuore.
Fortunatamente Ceres sapeva che i suoi fratelli non l’avrebbero mai tradita. Le erano leali come lei lo era nei loro confronti.
“Allora è buona cosa che nostra madre non venga mai a saperlo!” rispose.
“Però verrà a saperlo nostro padre!” disse in tono secco Sartes.
Lei ridacchiò. Loro padre già lo sapeva. Avevano fatto un patto: se fosse rimasta alzata fino a tardi per affilare le spade che andavano consegnate a palazzo, sarebbe potuta andare alle Uccisioni. E così aveva fatto.
Ceres raggiunse il muro alla fine del viale e, senza fermarsi, infilò le dita in due fessure e iniziò ad arrampicarsi. Mani e piedi si muovevano con agilità e Ceres salì di quasi dieci metri fino ad arrivare alla cima.
Si mise lì in piedi, respirando affannosamente, e il sole le diede il benvenuto con i suoi raggi luminosi. Lei si coprì gli occhi con una mano.
Sussultò. Normalmente la Città Vecchia era punteggiata di pochi cittadini, un gruppetto di gatti o cani qua e là, ma oggi era assolutamente viva. Brulicava di gente. Non si riusciva neanche a vedere la pavimentazione sotto a quel mare di persone accalcate nella piazza della fontana.
In lontananza l’oceano brillava nel suo colore blu vivido, mentre la torreggiante arena bianca si stagliava come una montagna in mezzo all’intreccio di vie e case da due o tre piani addossate l’una all’altra. Attorno al confine esterno della piazza i mercanti avevano allestito le loro bancarelle, desiderosi di vendere cibo, gioielli o vestiti.
Una folata di vento le soffiò in faccia e l’odore di prelibatezze appena sfornate le entrò nelle narici. Cosa non avrebbe dato per un po’ di cibo che potesse soddisfare quell’assillante sensazione. Si strinse le braccia attorno alla pancia sentendo una fitta di fame. La colazione della mattina era stata data da qualche cucchiaiata di zuppa d’avena molliccia che in qualche modo era riuscita a farle provare ancora più fame di prima. Dato che oggi era il suo diciottesimo compleanno, aveva sperato almeno in un po’ di cibo in più nella ciotola, o almeno un abbraccio, o qualcosa.
Ma nessuno aveva detto una sola parola. Dubitava che addirittura se ne ricordassero.
Una luce le colse l’occhio e Ceres abbassò lo sguardo scorgendo una carrozza dorata che passava in mezzo alla folla come una bolla nel miele, lenta e scintillante. Si accigliò. Nella sua eccitazione non aveva considerato che anche la famiglia reale sarebbe stata presente all’evento. Li disprezzava, odiava la loro superbia, non sopportava che i loro animali fossero meglio nutriti di quelli della maggior parte della gente di Delo. I suoi fratelli speravano che un giorno avrebbero trionfato sul sistema delle classi sociali. Ma Ceres non condivideva il loro ottimismo: se doveva esserci una qualche sorta di uguaglianza nell’Impero, sarebbe successo solo per mezzo di una rivoluzione.
“Lo vedi?” disse Nesos ansimando quando fu salito al suo fianco.
Il cuore di Ceres accelerò al pensiero di lui. Rexus. Anche lei si stava chiedendo se fosse già lì e stava scrutando la folla senza risultato.
Scosse la testa.
“Lì,” indicò Nesos.
Lei seguì il suo dito che puntava verso la fontana, strizzando gli occhi.
Improvvisamente lo vide e non poté contenere un’esplosione di eccitazione. Si sentiva sempre così quando lo vedeva. Eccolo lì, seduto sul bordo della fontana, intento a provare l’arco. Anche da quella distanza poteva vedere le sue spalle e il petto muscoloso, gonfio sotto alla tunica. Aveva pochi anni più di lei, capelli biondi che spiccavano tra quelle teste nere o castane. La sua abbronzatura brillava al sole.
“Aspetta!” gridò una voce.
Ceres si guardò alle spalle e alla base del muro vide Sartes che cercava a fatica di arrampicarsi.
“Sbrigati, o ti lasciamo qui!” lo pungolò Nesos.
Ovviamente non avevano intenzione di lasciarsi alle spalle il fratello più piccolo, anche se doveva imparare a stare al passo. A Delo un momento di debolezza poteva significare la morte.
Nesos si fece passare una mano tra i capelli, prese fiato e guardò anche lui la folla.
“Quindi su chi punti i tuoi soldi?” le chiese.
Ceres si girò e rise.
“Quali soldi?” gli chiese.
Lui sorrise.
“Se ne avessi,” rispose.
“Brennius,” rispose senza esitare.
Lui sollevò un sopracciglio, sorpreso.
“Davvero?” le chiese. “Perché?”
“Non lo so.” Scrollò le spalle. “Solo una sensazione.”
Ma lo sapeva benissimo. Lo sapeva molto meglio dei suoi fratelli e di tutti i ragazzi della città. Ceres aveva un segreto: non l’aveva detto a nessuno, ma di tanto in tanto si vestiva da ragazzo e si allenava al palazzo. Un decreto reale vietava alle ragazze – pena la morte – di imparare come si combatteva, ma i paesani di sesso maschile erano invece i benvenuti, in cambio di uguale quantità di lavoro nelle stalle del palazzo, un lavoro che lei faceva con gioia.
Aveva guardato Brennius ed era rimasta impressionata dal modo in cui combatteva. Non era il più robusto dei combattenti, ma le sue mosse erano calcolate con precisione.
“Nessuna possibilità,” rispose Nesos. “Sarà Stefano.”
Lei scosse la testa.
“Nel giro dei primi dieci minuti Stefano sarà morto,” disse con tono inespressivo.
Stefano era la scelta ovvia, il combattente più grosso, e probabilmente più forte, ma non era un calcolatore come Brennius o come alcuni degli altri guerrieri che lei aveva guardato.
Nesos rise sonoramente.
“Se