Furfante, Prigioniera, Principessa . Морган Райс

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Название Furfante, Prigioniera, Principessa
Автор произведения Морган Райс
Жанр Героическая фантастика
Серия Di Corone e di Gloria
Издательство Героическая фантастика
Год выпуска 0
isbn 9781632918376



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e Berin poté percepire adesso l’amarezza. “Ovvio che dovevi chiedere di lei. Non di come sto io. Non dei nostri figli. Ma di lei.”

      Berin non aveva mai sentito sua moglie così prima. Oh, aveva sempre saputo che c’era qualcosa di duro in Marita, più preoccupata per se stessa che per il resto del mondo, ma ora sembrava addirittura che il suo cuore fosse cenere.

      Marita parve poi tranquillizzarsi e la netta rapidità del mutamento fece insospettire Berin.

      “Vuoi sapere cosa ha fatto la tua preziosa figlia?” gli chiese. “È scappata.”

      L’apprensione di Berin si infittì. Scosse la testa. “Non ci credo.”

      Marita continuò a spada tratta. “È scappata. Non ha detto dove andava, ha solo rubato quello che poteva ed è sparita.”

      “Non abbiamo soldi da rubare,” disse Berin. “E Ceres non avrebbe mai fatto una cosa del genere.”

      “Ovvio che tu stia dalla sua parte,” disse Marita. “Ma ha preso… cose che stavano qua in giro, cose che avevamo. Qualsiasi cosa che ha pensato di poter vendere nella città vicina, conoscendo il tipo. Ci ha abbandonati.”

      Se era questo che Marita pensava, allora Berin era certo che non avesse mai veramente conosciuto sua figlia. Né lui, se credeva che si bevesse una bugia così evidente. La prese per le spalle e anche se non aveva tutta la forza di un tempo, era ancora abbastanza in forma da far apparire sua moglie fragile al confronto.

      “Dimmi la verità, Marita! Cos’è successo qui?” Berin la scosse come se in qualche modo questo potesse riportare alla luce la vecchia versione dei fatti e Marita potesse tornare all’istante la donna che aveva sposato tanti anni prima. Ma ottenne solo il risultato di farla ritrarre.

      “I tuoi figli sono morti!” gridò Marita. Le parole riempirono il piccolo spazio della loro casa, uscendo come un ringhio. La voce poi le cadde. “Ecco cos’è successo. I nostri figli sono morti.”

      Quelle parole colpirono Berin come il calcio di un cavallo che non voleva essere ferrato. “No,” le disse. “È un’altra bugia. Deve esserlo.”

      Non poteva pensare a cos’altro Marita avrebbe potuto dirgli per fargli così male. Doveva sicuramente averlo detto per ferirlo.

      “Quando hai deciso che mi odiavi così tanto?” le chiese Berin, perché quello era l’unico motivo che potesse indurre a suo parere sua moglie a gettargli addosso qualcosa di così orribile: usare l’idea della morte dei loro figli come un’arma.

      Ora Berin poteva vedere le lacrime negli occhi di Marita. Non ce n’erano quando aveva parlato della supposta fuga di casa di loro figlia.

      “Quando hai deciso di abbandonarci,” gli rispose con tono secco. “Quando ho dovuto guardare Nasos che moriva!”

      “Solo Nasos?” chiese Berin.

      “Non è sufficiente?” gli gridò addosso Marita. “O forse non ti interessa dei tuoi figli?”

      “Un momento fa hai detto che anche Sartes era morto,” disse Berin. “Smettila di mentirmi, Marita!”

      “Anche Sartes è morto,” insistette la donna. “I soldati sono venuti a prenderlo. Lo hanno trascinato via per metterlo nell’esercito dell’Impero, ed è solo un bambino. Quanto pensi che sopravvivrà in quelle condizioni? No, entrambi i miei ragazzi sono morti, mentre Ceres…”

      “Cosa?” chiese Berin.

      Marita scosse la testa. “Se tu fossi stato qui magari non sarebbe neanche successo.”

      “Tu eri qui,” disse Berin infervorato, tremando in tutto il corpo. “È questo il punto. Pensi che volessi andarmene? Dovevi curarti di loro mentre io trovavo i soldi per procurare da mangiare a tutti noi.”

      La disperazione allora prese Berin. Iniziò a singhiozzare come mai aveva pianto neanche da bambino. Il suo primogenito era morto. Tra tutte le altre bugie che Marita si era inventata, questo sembrava vero. La perdita lasciava un buco che pareva impossibile poter riempire, anche con il dolore e la rabbia che gli stavano traboccando dentro. Si sforzò di concentrarsi sugli altri, pareva l’unico modo per non restare sopraffatto dalle emozioni.

      “I soldati hanno preso Sartes?” chiese. “Soldati dell’Impero?”

      “Pensi che ti stia mentendo su questo?” chiese Marita.

      “Non so più cosa credere,” rispose Berin. “Non hai neanche cercato di fermarli?”

      “Mi tenevano un coltello alla gola,” disse Marita. “Ho dovuto.”

      “Hai dovuto fare cosa?” chiese Berin.

      Marita scosse la testa. “Ho dovuto chiamarlo fuori. Mi avrebbero uccisa.”

      “Quindi lo hai piuttosto consegnato a loro?”

      “Cosa pensi che potessi fare?” chiese Marita. “Tu non c’eri.”

      E Berin si sarebbe sentito in colpa per questo fintanto che avesse vissuto. Marita aveva ragione. Forse se lui fosse stato lì questo non sarebbe successo. Lui se n’era andato nel tentativo di evitare che la sua famiglia morisse di fame, e durante la sua assenza le cose erano precipitate. Il senso di colpa non sostituì però il dolore o la rabbia. Vi aggiunse solo forza. Tutto ribolliva in Berin, come un qualcosa di vivo che lottava per uscire.

      “E Ceres?” chiese. Scosse ancora Marita per le spalle. “Dimmelo! La verità questa volta. Cos’hai fatto?”

      Ma Marita si ritrasse di nuovo e questa volta cadde carponi a terra, rannicchiandosi e evitando di guardarlo. “Scoprilo da te. Sono stata io quella che ha dovuto sopportare tutto questo. Io, non tu.”

      C’era una parte di Berin che avrebbe voluto continuare a scuoterla fino a che non gli avesse dato una risposta. Che voleva costringerla a dire la verità a tutti i costi. Ma lui non era quel genere di uomo e sapeva che non avrebbe mai potuto farlo. Anche solo il pensiero lo disgustava.

      Non prese niente da casa quando se ne andò. Non c’era niente che lui desiderasse lì. Mentre guardava Marita, così totalmente chiusa nella sua personale amarezza da aver ceduto il proprio figlio, da aver cercato di mascherare ciò che era accaduto ai loro figli, gli fu difficile credere che ci fosse mai stato qualcosa di importante per lui lì.

      Berin uscì all’aria aperta spazzando via con un colpo di palpebre ciò che era rimasto delle sue lacrime. Fu solo quando la luce del sole lo colpì che si rese conto di non avere idea di cosa fare adesso. Cosa poteva fare? Non c’era modo di aiutare il suo figlio più grande, non adesso, mentre gli altri potevano essere ovunque.

      “Non ha importanza,” si disse. Poteva sentire la determinazione dentro di sé che si trasformava in qualcosa di simile al ferro che lui era solito lavorare. “Non mi fermo qui.”

      Magari qualcuno là attorno aveva visto dove erano andati. Certamente c’era qualcuno che sapeva dove si trovava l’esercito e Berin sapeva benissimo che un uomo che costruiva spade poteva sempre trovare un modo per avvicinarsi all’esercito.

      Per quanto riguardava Ceres… ci sarebbe stato qualcosa. Doveva essere da qualche parte. Perché l’alternativa era impensabile.

      Berin guardò verso la campagna che circondava la sua casa. Ceres era là fuori da qualche parte. E anche Sartes. Disse a voce alta le parole successive, perché farlo sembrava trasformare tutto in una promessa a se stesso, al mondo, ai suoi figli.

      “Vi troverò entrambi,” giurò. “A qualsiasi costo.”

      CAPITOLO QUATTRO

      Respirando affannosamente Sartes correva tra le tende dell’esercito stringendo in pugno la pergamena e asciugandosi il sudore dagli occhi, sapendo che se non fosse arrivato in fretta alla tenda del comandante lo avrebbero frustato. Correva e scansava gli ostacoli meglio che poteva, sapendo che il tempo stava per scadere. Aveva tardato